Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

venerdì 30 agosto 2013

Faisbukkiamoci e ritwittiamo: come io vivo la rete.



Amo la rete e uso spesso i social per molti scopi, non ultimo quello professionale. Posso affermare con soddisfazione che negli ultimi sei mesi sono stato contattato da diverse aziende che mi chiedono un parere professionale e alcuni di questi sono diventati contratti di collaborazione.
Per questo voglio condividere qui alcune regole che mi sono dato, non certo con la pretesa che siano giuste, ma almeno che siano note.

Grazie a FB mi sono arricchito di nuove amicizie, e ho avuto la fortuna di scoprire persone squisite alcune delle quali ho anche incontrato di persona con una grande soddisfazione. Il social ci ha permesso di trovare e coltivare punti in comune e l’incontro personale di consolidarli e rilanciare. E ora sentirsi su FB è come ritrovare ogni giorno una persona davvero cara. E questo sia per valori personali sia per valori professionali.
Mi piace usare il social per provocare, per indurre alla riflessione prima me e poi gli altri. Mi insegna anche l’umiltà perché la prima reazione a volte è di forte supponenza: “come osa contraddirmi?” e a volte di risentimento “ma perché invece di ammirarmi mi attacca?” ma spesso, confesso: non sempre, grazie all’angelo custode riesco a ricondurre questo in un ambito di serena riconoscenza.
Però ecco proprio di ritenere che Fb sia il luogo del dialogo, non ci credo. Non credo di convincere nessuno argomentando su FB anche perché vedo pochissime domande –e dai tempi di Socrate chi domanda guida, chi afferma irrita- e molte affermazione ideologiche.
Mi son fatto l’idea che chi interviene lo fa perché è così convinto del suo punto di vista che si immolerebbe per continuare a crederci e quindi a sostenerlo. Invece magari il mio post aiuta, oltre a me, chi ascolta e non scrive.
Per questo dopo un po’, a volte subito, smetto di intervenire: per non moltiplicare a dismisura un ping pong sterile di affermazioni che il più delle volte vanno inasprendosi e avvolgendosi sempre di più di astio e di odio personale. E questo è peccato.

Provoco a volte con ironia e non sempre vengo capito: qualche volta è colpa mia qualche volta no. Capita.

Ritweeto e condivido ciò che mi stimola senza prima documentarmi sulla effettiva veridicità del contenuto. Lo so, probabilmente è scorretto perché rischio di diffondere calunnie. Diciamo due cose: a) mi fido della persona che ha postato la notizia, il link, l’articolo; b) non condivido o RT affermando che ci credo, ma per portare all’attenzione, per accendere una discussione. Ecco, sappia telo: quello che condivido non necessariamente lo… condivido, ma lo trovo stimolante, interessante, degno di attenzione, magari per essere smentito e rassicurare tutti. Credo nella discussione e nel dialogo, quanto credo almeno nella necessità di avere argomenti forti, valori non negoziabili ai quali non derogare, affermandoli con responsabilità e chiarezza senza brandire spade ma senza cedere di un millimetro. Dialogare non vuol dire dare ragione agli altri o non credere in nulla per paura di offendere. Rispettare la persona non  significa e non implica rispettare o accettare le sue idee. Se continui ad affermare che 2+2=5 io posso rispettarti fino alla fine ma devo dirti che sbagli e se non mi ascolti non puoi impedirmi di affermare che 2+2=4.

Amo Twitter quanto Fb, sto imparando ad usare Pinterst dove soprattutto propongo articoli interessanti e così con Linkedin e Google+, studio Happier, 20lines e mi cimento su YouTube….

E voi, come usate i social media?


mercoledì 7 agosto 2013

riceviamo e volentieri pubblichiamo...

come si diceva una volta..
l'amico Andrea Annunziata commenta il post di ieri e rilancia...





Ho letto con interesse lo spunto di Paolo che è anche il mio interrogativo di trentenne in cerca della sua anima gemella. La realtà alla quale mi sono accostato è che le ragazze di oggi, tranne alcune eccezioni, vivono nella illusoria speranza di trovare il partner perfetto. Quello che dice la cosa giusta al momento giusto, che fa la cosa che loro hanno in mente quando lo vogliono loro e se non lo fai non sei il loro tipo. Non cercano una relazione con una persona per conoscerla, bensì uno specchio nel quale riconoscere se stesse. Quello che vivono è quindi storie con persone idealizzate al fine di trovare la sicurezza in se stesse, nel momento in cui finisce la fase dell’innamoramento non riconoscono il proprio partner (che in realtà non era mai stato quello che la loro immaginazione creava) e che alla fine lasciano o peggio si tengono convinte che non è obbligatorio essere felici. Da giovane uomo consiglio loro di lasciarsi avvicinare, conoscere un uomo uscendoci, perché uscire con lui non vuole dire starci assieme ma valutare razionalmente se la persona con cui stai relazionandoti può essere quella giusta, soppesare le esperienze avute con questa persona e poi decidersi. L’importante è non pensare che le cose funzionino sempre come nel film “Harry ti presento Sally” dove la protagonista ci ha messo nove anni per dire di sì ad un uomo che sin da subito l’ha desiderata. La vita non è un film romantico e i treni non sempre tornano, il rischio è per tutti di trovare il partner giusto e per immobilismo vederlo andare oltre. In questo il film Will Hunting dice cose sacrosante le lascio come chiosa al discorso http://www.youtube.com/watch?v=KvonCt2KK2k

martedì 6 agosto 2013

Le ragazze di oggi



Bazzicando i social network in questo inizio d’estate trovo spesso post di ragazze e donne deluse dagli uomini: sono fiacchi, deboli, fissati, incapaci soprattutto di gestire personalità forti e decise.
Non mi riconosco in questa generazione di maschi e un po’ mi spaventa.
Ma soprattutto mi induce a qualche domanda, provocatoria lo so, che cerca di capire come mai la situazione sia questa e come ci si sia arrivati.
Ecco il mio contributo

Ma non è care ragazze che siete troppo aggressive e pretendete troppo?
Non è che bazzicate ambienti in cui il massimo che si trova è uno sbavante dongiovanni fragile ed ego referenziato?
Che cosa chiedete ad una donna voi maschietti?
Non è l’ora, cari maschi, di fare il salto e pensare non solo alla serata, ma al vostro futuro?
Madri, e padri, che cosa insegnate con la vostra vita ai vostri figli?
Siete tutti consapevoli che la felicità non è il piacere e implica fatica e generosità?




sabato 3 agosto 2013

Di amore e sesso



Mi piace provocare. Lo sanno bene i miei 24 lettori. Così qualche giorno fa su face book ho postato questa frase: “La differenza di interpretazione tra sesso e amore mi pare essere causa di molti problemi di coppia. Per le donne le due cose sono generalmente inscindibili, per gli uomini per lo più distinte e la prima molto simile ad un appetito”.
Non volevo ovviamente fornire un alibi agli uomini specialmente agli infedeli. Tutt’altro.
C’è che mi accorgo che spesso molti dolori sono causati dalla mancata comprensione delle differenze nel guardare alla vita.
Per la donna, che vive soprattutto di sentimento nel senso più nobile del termine, amore e sesso sono due facce della medesima medaglia. Inscindibili. Per lo più si intende. Mi dono perché ti amo.
Per l’uomo, che è spesso trascinato dagli istinti, non è così. Non secondo natura, senza voler generalizzare si intende.
Il sesso è spesso solo appetito, sfogo, affermazione. È ricerca di potere, riconoscimento, autostima, auto soddisfazione. Senza amore. È gesto crudo. Da bestia.
Così però tutto resta vuoto e destinato a generare dolore.
Bisogna salire di livello per superare questa frattura.
Capire che l’amore non è per me, ma per te. Anzi per noi. È una dimensione diversa che attira tutto a sé per donare. Tutto. È negare se stessi. Per ritrovarsi insieme. Per sempre.
Non si può amare così se non per sempre.
Se restiamo nella sfera dell’io dominante, dell’amore per me, per trovare soddisfazioni, allora tutto è dolore. Dal tradimento fatto per gioco, per sfogo, fino all’omicidio. Perché non trova in sé il senso che faccia trattenere il male.

Ce la faremo a capirlo e a viverlo?