Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

sabato 31 dicembre 2011

La seduzione delle tecnologia

Lampi di blog: le ristampe della prima stagione




C’è un fascino nella tecnologia che seduce tutti gli uomini. Va bene, quasi tutti. E un numero ridotto di donne. Ma un conto è usare della tecnologia, un conto è esserne attratti. Ora è vero che anche al solo livello di utilizzatore la popolazione maschile è decisamente preponderante. Non sono molte le donne che affrontano la tecnologia con la stessa grinta con la quale affrontano un uomo.  Probabilmente solo le più giovani. Ferme, ferme: non è una dichiarazione di guerra. Neppure una battuta di spirito. E’ questione di imprinting. Per tutti coloro che sono nati dopo la nascita di Internet e del telefono cellulare, è impossibile non sapere fare uso di strumenti che stanno a questa generazione come alla mia , alla mia si intende e forse a quella di alcuni lettori, ma in modo assoluto NON a quella delle signore lettrici, i tappi a corona e le biglie di vetro. Ma restarne sedotti è altra cosa.
Per contro c’è una sorta di rifiuto nelle signore a diventare completamente padrone di qusti mezzi. Capita così che la mia ammirevole metà mi cerchi ad orari più impensati per ricordarle una sequenza di tasti sul Mac, guidarla in una operazione sul videoregistratore o che chieda aiuto alle figlie per modificare la suoneria sul cellulare.
Ora da una donna come lei che padroneggia  senza alcuna esitazione una della apparecchiature più complesse al mondo, la lavatrice, uno non si aspetta questo analfabetismo tecnologico.  Sebbene sia roso dal dubbio che ci sia un disinteresse personale alla base di questo disagio, mi sono fatto una idea differente. Che tutto questo vi convenga.
Già perché noi uomini siamo attratti da questa innovazione delle nostre vite: passiamo la stessa quantità di tempo che voi trascorrete di fronte ad una boutique a contemplare negli azzurri e diafani negozia degli aeroporti le sfilate di nuovi computer, gli scaffali di hard disk esterni, saltelliamo senza riuscire a deciderci di fronte alla provocazione di nuovi telefonini multifunzione,provando persino un profondo desiderio di acquistare una chiavetta da 32 Giga come se fosse la conquista di una impossibile amante. Per cadere in un deliquio che fa perdere coscienza e serietà quando ci capita di entrare in un Apple Store .
Io non ho viste di cose che noi uomini possiamo solo provarne vergogna: provare passione per un panno triplice uso per computer, ridurre la salivazione per il nuovo Mouse Mac che riproduce il Pad simulando anche lo scorrimento, scambiarsi compulsivamente applicazioni gratuite per iPhone, specialmente quelle che non verranno mai utilizzate.
Travolti da queste ventate di passione vera, finiamo per venire distolti da tentazioni antiche e cadiamo tra le braccia di questa amante che non tradisce, se non di rado (quando ti crasha l’hard disk o ti si impianta il telefonino), e che soddisfa la più profonda delle brame maschili: tornare bambino.
Sono sicuro che voi signore, profonde conoscitrici dell’animo e dotate di grande intuizione, aveva capito tutto questo fin dl primo albore della tecnologia e con grande magnanimità, e con una strizzata d’occhio all’utilità, ci avete lasciato via libera ritirandovi non perché non avreste potuto impossessarvi anche di questo, ma per lasciarci l’illusione della trasgressione.
Non solo: c’è un pizzico di malizia tutta femminile in questo. L’uomo che oggi non apre più la portiera alla compagna, che non si alza in piedi all’ingresso in stanza di una signora, che non le cede il passo alle porte, come potrebbe resistere ad una donna che con arrendevolezza gli chiede: “scusi, mi si è bloccato il cellulare, puoi aiutarmi?”.

venerdì 30 dicembre 2011

Il sesso delle parole


Lampi di blog: le ristampe della prima stagione

Le parole sono maschili e femminili. Le parole hanno peso e volume. Le parole sono macigni e ruscelli. E le usiamo proprio in modo diverso. E’ come se anche per esse fosse valida la legge di conservazione e il loro numero dunque fosse limitato. E per qualche ragione fosse stato dato un dono a donne e a uomini per usarne nel modo consono alla loro natura. Abbiamo realizzato, in collaborazione con un cliente, una serie di interviste a professionisti con lo scopo di indirizzare i comportamenti di chi ha necessità di porsi in relazione con loro. Per una coincidenza casuale è stato un uomo ad intervistare gli uomini e una donna ad intervistare le donne. Intervistare poi. Si trattava di porre una domanda fuori onda ed videoregistrare la risposta.
Che cosa ne è venuto fuori? Mediamente le interviste maschili durano dal 30 al 50% in meno di quelle femminili. E mentre l’intervistatore passa del tutto inavvertito, l’intervistatrice interviene più volte, forte e chiara, a sottolineare, a correggere, a suggerire, ad approfondire. Non ce la fa proprio a stare zitta.
Perché è così: le donne parlano. Ora con questo non voglio dire che invece gli uomini ascoltano, mi piacerebbe proprio, ma so bene che ci capita di nascondere dietro un viso assorto e proteso solo il silenzio della nostra mente che gira, a vuoto, su un solo pensiero. Ma di certo il numero di parole che abbiamo a disposizione sembra essere sostanzialmente inferiore. Ci sarà un perché.
Le donne raccontano le loro emozioni parlando, ragionano parlando, ci amano parlando. E dimostrano tutta il loro disappunto nei nostri confronti tacendo. Quando smettono di parlare ci stanno punendo, ci stanno negando ciò che per loro è relazione.
Drammaticamente la prima cosa che l’uomo pensa di fronte a questo tormentoso silenzio è “finalmente tace!” e solo dopo un po’ quando comincia a preoccuparsi. Spesso quando è tardi.
Gli è, credo, che la donna è fiume e l’uomo roccia, per assegnazione divina, non per scelta, e sono ruoli nei quali stiamo anche un po’ scomodi a volte. E questa differenza in qualche modo si deve pure percepire: così il parlare femminile è avvolgente come un fiume, ora turbolento, ora pacato, sempre inarrestabile, sempre in movimento. E quello maschile è scaglie, ferro, granito, spigoloso, intermittente, pungente.
Mi capita talvolta di sedere a cena con tre donne, moglie e figlie, in assenza del primogenito, maschio. Sono momenti tanto piacevoli quanto sofferti. Perché non solo sono costretto a viverli in assoluto silenzio, parlare risulta impossibile: bisognerebbe riuscire a penetrare quel vento di parole nel momento, raro, in cui tutte e tre contemporaneamente prendono fiato; ma anche faccio fatica a seguire i discorsi che si agitano come un mare, avanzano poi ritornano indietro come per la risacca, poi si spezzettano, si incrociano, si separano, si riprendono. Ed io resto inevitabilmente indietro. Sempre. Privati della logica noi uomini finiamo come conchiglie buttate sulla rena. Non possiamo che stare lì, quieti, ad osservare la dolcezza del mare che danza insieme al vento.  

giovedì 29 dicembre 2011

A mia moglie


Lampi di blog: le ristampe della prima stagione





Tra le più belle canzoni di Enrico Ruggeri amo molto A mia moglie.  Non mi interessa sapere se sia biografica oppure no. Lo auguro solo al cantante. Arriva un momento in cui è giusto fermarsi e ringraziare per il dono ricevuto: perché se è vero che il matrimonio è etimologicamente il dono alla madre, è anche vero che soprattutto noi uomini riceviamo un grande regalo dall’unione coniugale. Per me è stato così. Mi sono molto risentito quando, avendo pubblicato sul sito americano la mia vita in sei parole, qualcuno si è permesso di lasciare un commento acido. La mia storia è tutta qui: Passione giovanile, amore profondo. Ancora sposi.  Una mano femminile, amara ed acida, commento: he slept around, o qualche cosa del genere. Che potrei tradurre crudemente: la tradisce a destra e a manca.  La storia è diversa.
Ho conosciuto Franca nel 1980, io avevo 19 anni lei 17. Ci siamo sposati nel 1985, non avevo ancora 25 anni e lei non arrivava a 23. Andrea è nato nel 1986, Chiara nel 1988, Letizia nel 1992. Abbiamo conosciuto buona e cattiva sorte. Ci compensiamo. Io sono il visionario, lei la concreta. Io apro strade, lei le asfalta e le rende sicure. Io trascino, lei consolida. Io sogno, anche troppo, lei hai i piedi per terra. Ci siamo aiutati a vicenda in mille modi: io lancio le sfide, lei le vince. E’ una tagliente e crudele critica di ciò che penso e faccio: è grazie a questa sua qualità che mi sono evoluto da ragazzino un po’ nerd, molto imbranato, a professionista energico e coerente. Non ci facciamo sconti. Questo non ci ha allontanato di un millimetro, anzi ci ha unito di più.
Mi ha seguito in ogni nuova avventura, le ho fatto fare di tutto e ha sempre detto di sì inventandosi mille professionalità nuove. Lei è cresciuta, e mi ha aiutato a capire i miei errori. Siamo umili e ci amiamo. Abbiamo costruito sulla fede e ancora oggi preghiamo insieme per i nostri figli, per i nostri sogni, per le nostre preoccupazioni. Sono così innamorato che penso di non poter vivere senza di lei. Abbiamo, come si dice, fatto tanti chilometri insieme e ne abbiamo passate tante, e ci hanno rafforzato.
Imbianchiamo insieme, ovviamente lei molto meno di me e con più lentezza, e sappiamo ancora guardarci negli occhi scoprendo cose sempre nuove e difficili da rendere con parole, specie quelle scritte scritte.. So comunque chi è più grande dei due e so che non sono io. Non so se questo è rendere giustizia, ma so che ogni giorno devo meritarmi il dono che Dio mi ha dato: mia moglie.
Credo che il nostro trucco stia nel fatto che ridiamo insieme, spesso, e che io riesco a farla ridere. Così guardiamo alla vita con una serenità lucida e profonda. Crediamo veramente che, come dice san Paolo, omnia in bonum, tutto concorre al bene. e se guardiamo la nostra vita è davvero così. Abbiamo avuto momenti duri, problemi di lavoro, difficili soci, difficoltà economiche.
Lei si è inventata un lavoro, prima mi ha seguito, poi affianco a questo, ha avviato la sua attività imprenditoriale, e oggi è una imprenditrice di successo E ovviamente mi aiuta.
E io ho l’onore di dovermi meritare giorno dopo giorno questo immenso dono.

mercoledì 28 dicembre 2011

Uomini che imparano dalle donne


Lampi di blog: le ristampe della prima stagione






Mia moglie ha scoperto questo blog. E questo crea dei problemi. Per via del principio di Heisenberg. Già perché c’è un collegamento diretto tra le leggi della fisica e quelle della vita. Prendete la legge dei gas: tendono ad occupare tutto il volume dell’oggetto che li contiene: come le riunioni, come le parole delle signore in un gruppo, come la vanità di uomo…. Che cosa dice questo Heisenberg: che non è possibile determinare contemporaneamente posizione e velocità di un elettrone. Vale a dire che l’osservazione influenza l’osservato. Se io non sono più io ma in blog… tutto cambia… ce la caveremo.
Cena con i controfiocchi questa sera, un clima da Famiglia Benvenuti –chi ha meno di cinquant’anni prego cercare su Google aggiungendo Enrico Maria Salerno, grazie- con i figli piacevolmente scatenati. Tra un “non sei una minoranza etnica” e “ma se il rifugio Mantova è della città di Mantova, allora il rifugio Quintino Sella? Dov’è la città Quintino Sella!” “Non è una città! E’ una via!”. Abbiamo scoperto che i concorrenti della gara di freerider sciavano scianti, vale a dire impavidi. E che quindi sciantècler vuol dire calmo e chiaro.
C’è da imparare molto ad ascoltare una donna che parla: così la serata di Lugano è stata molto più istruttiva di quanto non pensassi. E non perché a parlare c’era la mia signora, si intende. Perché questa storia del servizio che deve servire non è così banale per un uomo, che l’hanno abituato da bambino a farsi servire perché la sua missione è fuori casa. E poi questa roba gli resta. Non la si cambia facilmente. Se poi ci mettete tra gli ingredienti che le donne fanno una gran fatica a trovare il confine tra “lo faccio per amore” e “ma per chi mi ha preso, una donna di servizio?”, e quindi molto spesso si trovano all’improvviso nell’area colf senza aver dato, non dico i trentagiorni, ma neppure  il minimo segno di preavviso capite che la miscela può diventare esplosiva. Così c’è davvero materia per drizzare le antenne e diventare…. creativi? Non ce n’è bisogno, basta essere buoni osservatori. E accorgersi, compito ardimentosissimo per un uomo, che c’è poesia e passione anche nel buttare la spazzatura, svuotare la lavastoviglie, sbottonare le camicie prima di deporle nell’apposito cestello, magari anche rigirare le calze (gesto questo da vero house lover), ripiegare il tovagliolo, mettere a posto la scala dopo l’uso e così via (se volete vi fornisco elenco completo a prezzi stracciati da vero amico). E che, anche se fanno finta di non accorgersene, le nostre care signore, ma anche le figlie, lo notano e lo apprezzano più di un mazzo di fiori. Che ne dite signore, non è così? (segue ovviamente, mica si impara così poco!)   

martedì 27 dicembre 2011

Gli uomini non cambiano


Lampi di blog: le ristampe della prima stagione





Leggere fa male. Non nel senso che è dannoso. Nel senso che è doloroso. Ogni volta che, grazie ad un libro, sia esso un saggio o un romanzo, la consapevolezza cresce, ne deriva una ferita: perché ti rendi conto che sbagli, che potresti fare meglio, che hai perso una occasione. E c’è poco da schermarsi dietro alla buona fede. I tagli rimangono, sia in te sia nelle persone che ami. Prendi questo studio: i cinque linguaggi dell’amore. Sei arrivato agli ultimi due dei cinque idiomi, quelli apparentemente più semplici: il dono e i gesti di servizio. E che cosa scopri? Che c’è dono e dono, che il dono per essere tale deve essere gratuito (niente condizioni se… allora), deve piacere al destinatario e non a te (ehm, parliamone) e deve essere consegnato con le dovute cerimonie, non buttato sul tavolo del tipo “tiè pija!”. E già qui l’esame di coscienza segna un meno duemila punti. Se poi approfondisci scopri che ci sono dei falsi doni, quelli fatti per compiacere chi regala: per sostituzione, per compromesso, per corruzione, per calmarsi la coscienza, per debolezza.
Quindi sei già un po’ in crisi perché hai capito di avere sbagliato molto fino a qui (vogliamo mettere sul tavolo le magliette Hard Rock rifilate ai figli come souvenir?) e stai iniziando a fare un piano di rientro, quando ti piomba sul collo la scure dell'altro linguaggio. Che per par conditio stava approfondendo la moglie, rendendomi edotto delle scoperte sino ad indurmi a leggere con attenzione il testo.
Ora ogni uomo sa che, comunque vada, sbaglia lui: non solo, sbaglia sempre, per definizione, senza possibilità di redenzione. Perché ti dicono: guarda che non hai mai fatto questo, guarda che mi aspetto che tu faccia quest’altro, guarda devi cambiare. Allora ti sforzi, ci provi, ci riesci. E che cosa ti dicono: bella forza te l’ho detto io! Non comperi mai fiori? Una domenica lo fai. Torni felice come un bambino, che si aspetta sorriso e carezza. E che cosa ricavi? “Era ora, se non te l’avessi detto…”. Quindi, sapendo questo, lasciamo perdere. Sorridiamo comunque e procediamo. Noi, e sottolineo noi, non teniamo una lista delle rimostranze lunga anni…..
Torniamo alle lingue: ora scopro che c’è un linguaggio fatto di gesti di servizio, come dicevo ieri, che consiste nel portare via un lavoro alle donne di casa, coniuge in primis. Nei suoi tempi. Perché anche qui c’è una grossa differenza: il tempo è liquido. Quando una donna chiede al marito di mettere in ordine la cucina, e lui, che è disciolto sul divano a guardare la partita, acconsente, sta facendo una affermazione della quale è profondamente convinto. Nessuno dei due ha indicato una scadenza temporale. Ovviamente l’uomo sa quando sarà il momento giusto: nell’intervallo, dopo la fine della partita, dopo le interviste con i tecnici, dopo i commenti da studio. Per la moglie è sempre hic et nunc: ora.  Siamo su fusi orari diversi: diciamocelo una volta per tutte ed evitiamo dolorose incomprensioni, specie mentre la tua squadra del cuore è sotto e sta attaccando a tutto organico.
Quindi, se c’è un linguaggio dei gesti di servizio nel fare, c’è anche nel ringraziare. Così studiando e leggendo casi da manuale riportati dall’autore, ho scoperto che, se non si può addurre come mia colpa l’aver lesinato complimenti sulla bellezza, l’intelligenza, la caparbietà, lo stile educativo, la professionalità, ho di certo mancato di elogiare con i giusti termini la “servizievolezza”; chessò qualche cosa del tipo: come pieghi bene le camice, anche questa sera hai fatto da mangiare, ma quante lavatrici hai steso oggi!, come butti via la spazzatura tu non lo fa nessuno, non avevo mai visto una lavastoviglie caricata in questo modo, grazie per non lasciare mai il frigorifero vuoto, ce ne vorrebbero di donne che compilano la lista della spesa come te, e via dicendo.
Ma vi rendete conto che noi ci accontentiamo di molto meno?
Non importa, siccome vi amiamo tantissimo, impareremo anche a lodare il modo sublime e inavvertito con il quale conducete la vita quotidiana, servendoci come re senza farcene accorgere, perché siete fate silenziose e serene e ci perdonate la sindrome del guerriero, che ritorna stanco dalla battaglia e vuole essere celebrato e riverito. Perché anche voi ci amate tantissimo.
Solo, per favore, la prima volta che riusciremo a concentrarci e, con un sorriso fanciullesco e compiaciuto, con l’ansia di chi finalmente risponde giusto alla crudele prof di greco che ha chiesto un aoristo passivo, vi diremo “come è apparecchiata bene la tavola”, non rispondeteci “eh già, dopo che te l’ho detto e ridetto, finalmente ci sei arrivato: e non dirlo con quel tono che mi sento presa un giro”. Più di così noi non riusciamo a fare…. 

lunedì 26 dicembre 2011

Capire e comprendere non sono la stessa cosa

Lampi di blog: le ristampe della prima stagione




Qui non è tanto una questione di donne e uomini, sebbene una grande differenza ci sia: le donne intuiscono, vale a dire colgono l’essenza senza necessariamente avere bisogno di una mediazione logica, l’uomo scompone razionalmente e ricostruisce con logica. Non ci credete? Qual è il prototipo della lite donna-uomo? Lui le dice: non l’hai capito? Lei risponde non te ne sei accorto?
Chiarito questo ciò che intendo condividere è la difficoltà a penetrare e fare proprio, diciamo comprendere finché qualcuno non propone un vacabolo più adatto, ciò che gli altri provano. Perché provare è molto più che pensare o sapere: quest’ultimo è atto razionale, il primo mescola anche, in dosi abbondanti, il cuore.
Capita che in qualche angolo del web si discuta da tempo, dopo una iniziale fiammata con toni piacevolmente pacati e rispettosi, di dolori e letteratura. E c’è un grande sforzo da entrambe le parti per capire ciò che gli altri pensano e perché. Eppure, sebbene sempre con garbo e delicatezza si proceda per piccoli passi sempre più vicini al contatto, sembra impossibile raggiungere quel punto che non è compromesso, ma comune verità.
E non perché la verità non ci sia, ma perché sta così fuori dalla razionalità che non c’è mente che la possa raggiungere : il dramma è che neppure cuore la può cogliere e comprendere. Perché? Perché nessun cuore ha vissuto e sentito ciò che gli altri hanno sentito e vissuto e sofferto. Ho ben da dire che capisco il dolore altrui, ma non posso farlo mio, non posso provare ciò che atri hanno provato, perché questo passa dall’esperienza, dalla vita. E la vita è meravigliosamente unica e irripetibile. E al contempo questi altri, che hanno sofferto sofferenze profonde e diverse, non possono, anche se lo vogliono e si sforzano, di capire questa attuale sofferenza, questa dignità, perché ciò che hanno vissuto impedisce loro, fisicamente, direi, di sentire ciò che sentiamo noi perché comunque, sempre, sovrapporranno i loro piano all’altro. Senza malizia, senza arroganza. Solo per via del cuore.
Ed è cosa buona questa, perché vuol dire che un cuore c’è e che ama e che quindi soffre, e vive e non scivola sull’esistenza inebetito e diluito, quasi scolorito in un pallore che più che putrefazione ricorda l’assenza.
Ed è anche bello che ci sia questo sforzo di venirsi incontro per scambiare una profondità che appaga e arricchisce.
Fosse sempre così la vita, saremmo tutti più accesi e più vivi- Così vivi da gustare ogni singolo istante.




venerdì 23 dicembre 2011

Un regalo di Natale

Prossimo post martedì 26 dicembre





Ecco, mi sono fatto un regalo per Natale. Perché sono stufo di rischiare la vita tutte le volte che attraverso sulle strisce. Qui non c’è rispetto per i pedoni, che sono un impedimento, un fastidio, se non un bersaglio. Non si ferma nessuno, a meno che non deve proprio farlo per non prenderti in pieno in presenza di testimoni.
E l’ultima volta quando, non appena messo piede giù dal marciapiede, ho dovuto ritrarlo per evitare un autobus che tirava dritto, mi son detto che così proprio non andava, che non era possibile pensare l’attraversamento come una guerra, una sfida all’OK Corral dove guardare fisso negli occhi il guidatore e passare deciso, quando mi sono accorto, con mossa agile di cuore, che poi io, una volta seduto dentro l’abitacolo, non è che mi comportassi molto diversamente.
Così, ho deciso, da ieri (compreso) in poi atteggiamento americano, cioè che se anche solo un pedone sta prendendo in esame l’ipotesi di attraversare, ti fermi.
E l’ho fatto. Suscitando una certa irritazione nella vettura che insegue e un solare stupore nei pedoni.
E’ il mio regalo di Natale: da oggi si rispetta il pedone senza tregua.
E per prendere anche io una tregua e ricaricare il file, riprendo con i nuovi post dal 10 gennaio, ma per non lasciarvi soli, passiamo alle repliche, quelle ormai sepolte che splinder nella memoria antica, per cui dal 26 in là, ogni giorno un lampo di blog, scrosci di testi precedenti, sempre belli, per tutti.

Buon Natale!

martedì 20 dicembre 2011

Gli amici se ne vanno

Prossimo post venerdì 23 dicembre




E poi dopo che gli amici se ne sono andati, non è che ti siedi lì a contenderti l’ultimo Moncherì nelle pubblicità. Perché non c’è mai la Luisa, quella che arriva presto, va via tardi e non pulisce… vabbé, abbiamo capito. Non c’è, specie a mezzanotte.
Non che sia colpa degli amici, anzi. E’ un tal piacere averli con noi che mettere a posto non pesa. Ma ci vuole ordine. E capire i limiti degli altri.
Che io sono buonino, ma ormai un po’ lento.
E le cose le faccio, ma con i miei tempi… e questo le signore, qualunque signora, fa fatica a capirlo.
Prendi il caso che ti vuol far fare alcuni servizi: c’è da buttare via la spazzatura, e poi mettere a posto le brocche, e rimettere la tovaglia sul tavolo, e poi far partire la spazzatura.
Calma.
Che io sono ancora fermo alla spazzatura, e sto cercando le chiavi del balconcino che è chiuso per evitare ai ladri acrobati di entrare a casa. E che non mi ricordo dove sono. Perché di solito sono nella ciotola qui sulla mensolina vicino alla porta. E non le trovo. Ma devono essere qui. Eccole infatti, nascoste sotto l’altro mazzo di chiavi. E ci vuole tempo.
Dunque dicevamo: la spazzatura e poi?
E poi voi siete già andate a mettere in ordine e state mettendo la cera anche al soffitto, dopo aver dato una mano di vernice perché non si sa mai e sostituito i tubi del gas.
E se vi chiediamo, tutti tronfi per aver buttato la spazzatura (“fatto!”) sorridendo: “e adesso che cosa devo fare?” abbiate pietà.
Che dentro il vostro cuore ci volete davvero bene e sapete che ce la faremo, certo che ce la faremo, con calma ma ce la faremo.
Quando invitiamo la prossima volta?





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domenica 18 dicembre 2011

Coming out: l’ora delle confessioni dati e cifre del blog

Prossimo post Martedì 20 dicembre



  


Dopo quasi due anni di fila di blog, dopo essere passato su questa piattaforma,  dopo aver attraversato crisi di invidia da sfociare nella irritazione più totale, dopo aver avuto una crisi di rigetto e aver poi fatto ammenda e dichiarazione di affetto a questo mio diario amico, dopo tutto questo è l’ora di venir fuori, di fare outing, di confessare.
Che ci sono dati che mi sorprendono.
E che quindi non sono l’unico a dover prendere il coraggio di alzare la mano e svelarsi.
Perché sì, sono vanitoso, lo sapete bene ormai, e orgoglioso. E guardare le statistiche di Blogger è un’abitudine che mi permette di capire chi c’è di là del video, a leggere queste parole, oltre ai visi e ai nomi –pochi- che conosco.
Perché non saremo molti di più, ma accidenti, da tutto il mondo! Se infatti blogger non mente, dei circa duemila click che hanno aperto questa pagina dal 27 ottobre scorso (pochini pochini per la verità) più del 60% viene dall’estero: Stati Uniti (tanti quanti l’Italia), Irlanda, Federazione Russa, Canada, Brasile, Giappone, Germania, Svizzera e UK.





Ora sapere che le avventure di casa nostra vanno così lontano da un lato onora dall’altro spaventa.
E ti vien proprio la voglia di capire chi c’è dall’altra parte del globo a leggere di te e affetti familiari.
Voleve venire allo scoperto? Almeno dirci chi siete, di dove siete, che cosa vi piace e che cosa no? Diciamo che sarebbe un bel regalo di Natale
E ai lettori e soprattutto lettrici che sono anche blogger chiedo, non per invidia o vanità, ma per sola curiosità: anche i vostro blog hanno un pubblico planetario?
Da ultimo un ringraziamento: blogger permette di vedere anche da dove proviene il traffico al blog. Ecco una buona parte arriva da questi due blog,due splendidi blog che parlano di quelle piccole cose quotidiane che, lungi dall'essere banali, sono invece ricchi e generosi, capaci di trasmettere non solo il calore del cuore, ma anche la profondità di una relatà vissuta con quella giusta passione che dona colore e sapore alla vita. Due blog per tre autrici, che meritano attenzione, non come un professore che insegna, ma come un amico che attorno al fuoco si racconta e nel farlo ci aiuta a capire meglio chi siamo proprio noi. 
Le conoscete? 
Noooo? 
E allora che cosa aspettate?


Primo blog (lasciamo un po' di mistero)
Secondo blog (sempre mistero)




a proposito.... dati di domenica pomeriggio WOW!!!









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venerdì 16 dicembre 2011

Il grinch: di alberi di Natale e presepi


Prossimo post Domenica 18 dicembre





C’è Letizia in casa nostra, per fortuna. Perché è lei che da sempre si fa carico di addobbare la casa per il Natale che viene.
E’ da piccola che ha questa particolare vocazione. Si comincia dal presepe, che con cura dispone sul mobile delle foto, dopo averle riposte con attenzione. E si prosegue con albero e luminarie.
Il presepe ovviamente ha un posto e soprattutto un senso centrale in casa nostra.
Le luci poi sono una eredità di famiglia: erano una fissazione di mia madre, che Letizia ha ripreso, con molta più gentilezza e soavità, e moltiplicato. Anche perché la tecnologia ci viene incontro: i vecchi fili sottili con lampadine minute e fragili, che non capivi mai quale si era fulminata, sono stati sostituiti da tubi luminosi.
Tutti amiamo questa cura e questa esibizione di Natale, perché in fondo è un modo di rendere palese ciò che abbiamo dentro, senza gli eccessi dei babbinatale che penzolano dai balconi, non sai se perché impiccati o nello sforzo di raggiungerli, che, come disse mio suocero anni fa, ormai “han fa’ razza”.
Però c’è qualcuno in casa che un po’ di fastidio ce l’ha, lo chiamiamo il Grinch infatti, non perché ce l’ha con il Natale, mi hanno insegnato che sono gli psicolabili che soffrono nei periodi di festa perché vedono gli altri felici, ma per il disordine che si genera. Beh in effetti si scombussola un po’ la casa….
Ma è un vezzo, un personaggio, una maschera bonaria che fa parte anch’essa dei festeggiamenti per il Natale di Nostro Signore.







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mercoledì 14 dicembre 2011

Ospiti a cena


Prossimo post Venerdì 16 dicembre








“Che cosa facciamo per cena?”. Quando abbiamo ospiti a cena si ripete questa commedia che oscilla tra tragedia e pochade, tra comicità e dramma.
Perché in realtà quello di cui lei ha bisogno non è un parere, che tra l’altro non saprei assolutamente dare, ma uno sparring partner, neanche una spalla, infatti quest’ultima ha una sua presenza scenica, una sua dignità. Lo sparring è là solo per prendere botte.
Ora il menù si andrà componendo, cambiando, ricambiando, nel corso dei giorni che precederanno l’evento, per cui il giro di antipasti a base di salumi e focaccia si disperderà nella polenta con lo zampone, per poi condensarsi in tagliatelle con salsiccia e castagne e poi…. Chi lo sa….
Il mio ruolo è semplice: dire cose poco sensate, come “che ne dici di pennette ai quattro formaggi?” o “e un polpettone con le verdure?” per sentirmi prima amabilmente redarguire per l’inadeguatezza della mia proposta, per poi annuire alla nuova esternazione che non ha affatto lo scopo di affermare il menu, quanto di riflettere a voce alta.  
E così alla fine ci si ritroverà a tavola con un ottimo menu.
Al quale io non ho affatto contribuito.





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