Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

martedì 21 aprile 2015

La meccanica dell'inganno




Pubblicato su LaCroce quotidiano del 16 aprile 2015

C’entra sempre l’amore. E la morte. È tutto qui.
Come la vinci la morte? Come la sfidi?
Il mito di oggi è che non la puoi vincere e quindi mentre l’aspetti consentiti di tutto. E fingi che sia amore. Che in realtà vuol dire chiudersi nell’egoismo, quindi l’esatto contrario dell’amore.  Basta fare finta che sia così. Basta illudersi che l’egoismo sia una forma sublime di amore, che ci sia bisogno di amare se stessi per primi per amare poi gli altri… (il demonio non può che scimmiottare il Cristo, e illudere giocando con le parole come un giocoliere fa con le sue palline e così tramuta “ama il prossimo tuo come te stesso” in “ama te stesso per amare il prossimo tuo” di fatto prosciugando la bellezza dell’amore).

Perché in realtà la morte la puoi fregare, la puoi deridere, la puoi sconfiggere.
Ma solo con l’amore, come spiega nella sua bellissima omelia di Pasqua una firma celebre di questo quotidiano, don Fabio Bartoli (cercatela in rete, su Facebook, su mauroleonardi.it, e ascoltatela tutta: ne vale la pena!).
L’amore però non è quello che vogliono farci credere questi mercanti di morte che si riempiono la bocca di falsi miti, dei quali hanno bisogno per propagare i loro interessi.

I quali sono di due nature: da un lato togliere ogni ombra di male alle loro voglie, perché in fondo l’uomo ha bisogno -un bisogno fisico, profondo, un abbraccio- l’uomo ha bisogno di essere rassicurato che sta facendo il bene. Nessuno vuole fare il male, anche se si rifiuta di credere che un male esista, lo percepisce che non si può fare il male, e allora si illude, lotta, rifiuta se stesso per assecondare i propri capricci e vuole che tutti li chiamino bene, perché non può sopportare l’abbraccio che condanna il suo peccato, poiché anche l’accoglienza del medico, che non può negare l’ulcera neppure nell’ospedale da campo, gli dà fastidio, la percepisce come una condanna, perché da che mondo è mondo il giusto ricorda all’empio il suo agire male, e allora lo vuole distrutto, lo vuole annientato. Vuole un mondo senza speranza, senza amore, ma facendo finta che l’amore e la speranza esistano.
Non sanno che cosa sia l’amore, perché non hanno questa categoria intrisi nell’ideologia dell’individualismo, dell’-ismo quale che sia, forse davvero isterismo. Sembra non capire, non sperimentare che cosa sia l’amore la presidenta che si lamenta delle donne che servono a tavola la famiglia già seduta e pronta all’evento,  e non capisce che quello è solo amore, un amore infinito, che regala generosità, che produce gioia e non sottomissione –alla maniera della Boldrini, mica secondo il canone Miriano si intende!- e che produce relazioni e non schiavitù.
Poi sarà il turno del marito di riparare la tapparella, dei figli di fare la spesa o sparecchiare la tavola, perché l’amore che fa battere il cuore è questo, non un passaggio più o meno rapido a letto, è ascoltare quando non ce la faresti, è gesti di servizio, è momenti speciali. Proprio non capiscono perché non parlano i linguaggi dell’amore, ma quelli del piacere e pretendono che tutti prendano questi miti e li facciano propri così da rassicurarli che sono nel giusto.

Dall’altro, l’altra natura dei mercanti dei falsi miti puzza di Grandevecchio, di interesse commerciale, di budget trimestrali da raggiungere, di nuovi prodotti da lanciare, perché l’amore non spreca, l’amore non spende a vanvera, l’amore conserva, è l’egoismo che sperpera e fa girare l’economia. C’è questo dubbio che per certi versi rassicura: dall’ ISIS ci salveranno le multinazionali, dato che se conquistassero l’Europa raderebbero il mercato a zero ben peggio di quanto possano fare anche tantissime famiglie numerose cattoliche…

Non hanno l’amore nella loro grammatica, come non hanno la lungimiranza.
C’è questo folle che entra nel Tribunale a Milano e ammazza tre persone, e che cosa ti commentano? Che non si capisce come mai in questa società ci siano ormai così tante liti e tanto odio. Ma va? Ma se hai seminato per decenni la necessità di pensare solo a te stesso, di mettere IO al centro, che D-IO non esiste, che tutto è lecito, che puoi anzi devi essere l’uomo che non deve chiedere mai, Egoiste! E che Arrogance è un profumo che attira,  che tutto è diritto e nulla dovere, anche il lusso è diritto, il figlio è un diritto –tanto a lui va bene comunque- che l’aborto è un diritto, che la fedeltà è una cosa da cattolici tradizionalisti o peggio ancor integralisti, che l’amore è sesso, come fai a meravigliarti che questi miti –perché questo sono, miti e falsi- producano solo odio e liti e violenza?

Come fai a non capire che l’egoismo non può partorire generosità?
Ah ma siamo tutti fratelli. Dobbiamo rispettarci, aiutarci, accoglierci, comprendere le altre culture, dare da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi.
Altra falsificazione mitologica.
Chiariamo. Tutte cose da fare s’intende, ma perché c’è un senso che viene disconosciuto.
Come facciamo ad essere tutti fratelli senza un Padre comune.
Prendiamo questa cosa qui degli zingari o degli immigrati, lo dico da un punto di vista filosofico, con gli uni che fanno d’ogni erba un fascio e bruciano tutti, radono al suolo e gli altri che fanno di ogni erba un fascio dicono che vanno amati tutti perché vanno capiti.
Spiegami: perché?
Perché li devo amare? Perché li devo capire? Accogliere? Sacrificare per loro? Perché?
Perché sono uomini! Affermano (e pare che invece in questa categoria non rientrino le sentinelle in piedi, i vogliolamma, i cristiani massacrati nel mondo, per i quali non c’è un #jesuis che tenga).
Sono uomini come te, ripetono. E allora? Che cosa ne devo dedurre? Perché da qui deve discendere il mio sacrificio per loro?

Il punto è che i falsi miti si reggono sulla confusione, perché alla prova della logica, alla prova della grammatica, alla prova del dizionario non possono reggere.
Non c’è nessuna ragione per cui, in nome di una generica umanità, io debba sacrificarmi per il mio vicino, peggio per un lontano. Neppure per la legge del “oggi a te, domani a me”, ti faccio un favore per averne un altro domani. Non sta in piedi in una società che ha scelto di vincere la morte con l’egoismo. Non potrebbe fare diversamente, l’amore ha bisogno di ben altro fondamento.
Va analizzata allora una volta per tutte questa costruzione filosofica dei falsi miti, e già etichettare come filosofia questa ricerca della dissoluzione è farle un omaggio che non merita.
Il punto nodale è esaltare i propri desideri, le proprie pulsioni, senza dover sottostare a nessuna limitazione. Perché? Perché di fronte al dolore, se sei incapace di dare un senso, non resta che anestetizzarlo. Viviamo nell’esaltazione del divertimento, inteso in senso letterale dis-vertere: distogliere l’attenzione, guardare altrove. Poiché l’uomo non può da solo darsi un senso, capire come gestire questa cosa qui –la morte, il dolore- che cerca di sconfiggere (vedi il recente articolo, pubblicato qui lo scorso 11 aprile, di Emiliano Fumaneri sulla pratica della ibernazione e la filosofia del trans umanesimo) senza riuscirci, non gli resta che guardare altrove, ubriancandosi di passione per dimenticare la morte.
Allora tutto deve concorrere a questa follia: tutto deve essere permesso perché la presenza di un limiti mi ricorda la fine alla quale sono destinato. E la Chiesa, che invece ricorda la morte per esaltare la vita che viene dopo, va sconfitta perché non mi permette di “distrarmi”.
Ma poiché la ragione stessa grida contro questa follia, l’ideologia del “divertimento” deve confondere, ubriacare.  Non resta che creare una realtà parallela, manipolata, in cui l’ideologia plasma il vero distorcendolo.
Per raggiungere il risultato e ottenere questo diabolico obiettivo, c’è bisogno essenzialmente di tre fattori:

a)    svuotare di senso la logica e il linguaggio, distorcere il senso delle parole e cancellare il rapporto di causa ed effetto,
b)   stroncare con la violenza chiunque si ostini a ragionare con la propria tesa usando le categorie della logica e della verità,
c)    illudere che tutto questo sia un felice passo avanti verso il progresso.

Il trucco è tutto qui, e lo si percepisce in tutto ciò che sta accadendo nella società occidentale.
L’amore è ribaltato, si comincia da qui: bisogna infatti che questo sia il primo baluardo a cadere perché se l’amore viene compreso e vissuto per quello che è, innanzitutto gratuità e generosità nella rinuncia a se stessi, vale a dire il modo migliore per essere felici, allora il mondo dei falsi miti del progresso non può reggersi in piedi, si abbatte su se stesso.

Per questo l’amore è ridotto a piacere e ad auto-celebrazione, perché solo così si può costruire un mondo alla rovescia, un mondo in cui vince la morte. Ma, temo tragicamente, questo i profeti dei falsi miti non l’hanno capito.

Nessun commento:

Posta un commento