La sera del Natale mi rende triste, ma di una mestizia sana,
pacata, lieve.
(Per inciso: che bella parola è lieve, così trascurata e
derisa, forse proprio per quella leggerezza pastello che la rende inavvertita a
chi non sa che farsene delle sfumature, della voce della brezza morbida e
prudente. Che belli quei
versi di Cristina
Campo: con
lieve cuore, con lievi mani, la vita prendere la vita lasciare)
Perché è un richiamo del Paradiso, una voce lontana che
sussurra e attira. Che il giorno di Natale, da quando siamo famiglia, quindi
dal 1985, è l’occasione per radunare insieme quella che mia moglie chiama con
affetto “la nostra famigliola” e a dispetto del comune andare, non annida in sé
parenti-serpenti né assomiglia a quel nido di vipere che Mauriac descriveva, né
a stantie mummie. E’ un luogo di affetti, un cesto di personalità diverse, con
spigoli e abbracci, ma con una sincerità affettuosa che anticipa gioie che
nessun occhio poté mai vedere.
E’ un giorno speciale, che annuncia e convoca, e nello
spazio di breve ore promette e mantiene, senza esaurire, che le ore che
scendono, e con esse il buio delle sera, finiscono per nascondere senza negare
la gioia che verrà, allora sì per sempre.
Fin da piccolo avevo in cuore questo dolore appunto lieve,
che ho imparato poi a chiamare melanconia, alla francese, perché questa lingua
mescola altri ricordi, altri suoni, altre saudade: il dolore di non poter avere
tutte accanto a me contemporaneamente le persone che amavo e poter discettare
con loro in amorosi tratti. E soffrivo nel distacco, nella separazione, in
quella cesura che comunque il tempo impone e la nostra fragilità suggella.
Ecco, se me lo provo ad immaginare il Paradiso, è quel luogo dove posso
comporre tutti gli affetti della vita, senza competizione, senza
sovrapposizioni, senza rivalità né interferenze. Amare tutti con un sincerità
semplice e asciutta, stesa ad asciugare senza ombre.
E il giorno di
Natale mi parla di questo: dall’intensità di una fede che rimane nell’aria come
una colonna sonora che c’è, ma quasi si cela come per avvolgere leggera senza
incupire, alla presenza di coloro che rappresentano famiglia.
Poco importa se col tempo si scivola lontano: già perché per
tradizione nella tavolata i posti vicino alla finestra spettano ai più agée, e
da quando è stato inaugurato quel tavolo, di posti se ne sono liberati, e io,
che sedevo ben lontano, lasciando spazio alle mie radici, ora sono lì, primo
del lato lungo, radice troncata, a ricordare quelli che sono altrove, spero là
dove spero un giorno anche io arrivare.
Questo è il Natale, una promessa, un anticipo, una luce che
ti rimane dentro e ti ispira ad agire, che come lievito produce una piaga, che
puoi curare solo con un amore che non sia flatus voci ma azione maschia e
decisa.
(Post
originariamente uscito sul blog
di Costanza Miriano in data 28 dicembre 2011)