Il web è come la Forza: è potente e ha un lato oscuro.
Che scatena il peggio che è in noi. Anche il meglio, a dire
la verità, ma qui lo lascerei un attimo da parte. Il meglio. Per mostrare una
differenza che, me ne rendo conto, è difficile da capire ed è legata molto ad
una caratteristica della verità che è difficile da digerire, anche da coloro
che la professano. O ci provano.
Prendi una di quelle schermaglie che, a volte, diventano
aspre e acide, presto scivolano oltre il confronto per diventare insulto,
offesa, violenza e si spera solo verbale.
Quante volte il nostro direttore è stato sommerso da
ingiurie di questo tenore!
Tra tutte quella che viene riservata per ultima, in un
crescendo di violenza, e quindi immaginata come una tremenda minaccia, la
peggiore che si possa riservare per il peggiore nemico, quello per cui non hai
nessuna pietà, solo rancore, solo odio, di quello grasso, unto, rabbioso, è
“che tu possa avere figli omosessuali!”.
E qui si spalanca un mondo. Quello della verità.
Perché si dimostra il nostro errore, non essere stati capaci
di mostrare la differenza, quella che appunto, dicevo, qualifica in modo
inequivocabile la nostra fede, nostra non nel senso che la sappiamo vivere e
comunicare, ma che è quella nella quale abbiamo deposto la nostra speranza e la
nostra debolezza.
Che si palesa nell’amore.
Basterebbe questo per dimostrare che è vera perché se la
religione fosse la proiezione del proprio desiderio, mai credo sarebbe stato
disegnato un Dio che ti schiaccia sotto il peso dell’amore per i nemici, che ti
umilia invitandoti a porgere la guancia, che spazza via ogni tuo desiderio di
vendetta ricambiandoti con pari moneta minacciandoti di giudicarti proprio con
quel medesimo metro. Un Dio che non scende a combattere con te contro i
miscredenti, che non spezza ossa a chi ti minaccia, a chi lo deride, ma anzi li
abbraccia e li va a cercare.
Non è una corona ferrea a cingergli il capo, ma una di
spine, la cintura è di sofferenze, non esplosiva per divorare i cattivi. Quelli
che per me sono cattivo ovviamente.
Ecco, questo Dio qui, questo Cristo qui, m’ha insegnato che
se anche avessi un figlio omosessuale –o assassino, o ladro, o tangentaro, o
pedofilo, o convivente, o corruttore, o spergiuro o… peccatore in qualsiasi
modo gli passi per la testa- io non dovrei proprio smettere di amarlo, fino
all’ultimo, ed essere suo servo e pregare per lui.
Che l’amore non passa attraverso la perfezione, concetto
difficile da capire per una società che cerca solo la perfezione, che si crea
delle regole perché ogni comportamento sia perfetto, e quando si accorge che
l’imperfezione esiste allora la scaccia lontano da sé accusandola di ogni
dolore che produce, soprattutto quello di additare –tutto dice “più in là”-
all’esistenza della sofferenze e della colpa e quindi alla necessità della
redenzione e dell’amore, e schiacciandola nel fango: così si comporta verso i
deboli di ogni sorta, dai vecchi ai malati ai portatori di handicap, ai
colpevoli che, bollati per sempre, non trovano più spazio in una società che
sembra affermare “sei libero di fare quello che vuoi, perché proprio ciò che io
aborro hai fatto?”.
Io amo a prescindere, amo la persona, che sia peccatore o
down, celiaco o furioso, perché è una creatura divina, che merita come me tutto
il sangue di Cristo. Perché è un’anima. Se poi non riesco ad amarla così, non è
per colpa sua, ma mia.
Quindi questa minaccia si sfarina, scoppia come bolla di
sapone nel vento, sotto il cielo terso.
Certo che preferirei un figlio che crede in ciò che credo
io, che è diverso da dire gay o assassino o ladro o divorziato o quello che volete
voi, chi non lo vorrebbe? Ma sappiamo bene che è come è che io devo amarlo
questo figlio, e pregare per lui, e implorare come Santa Monica per
Sant’Agostino, ma senza mai mai smettere di accogliere.
Perché amare non è apprezzare la perfezione e rigettare la
difficoltà. E non è neppure dire
sempre di sì. Quella è voglia di audience, desiderio di quorum, speranza di
comperare con la concessione –vizio, si chiama vizio, si dice viziare!-
l’affetto di mio figlio.
O di un amico. O di un fidanzato.
No.
Amare è approvare come sei, e aiutarti a capire dove sbagli,
indicarti la via senza mai imporre, senza mai smettere per un solo secondo di
amare. Volere bene significa volere il bene, per questo impone che prima si
capisca che cosa è il bene per te, e poi ti aiuti, mettendomi al tuo fianco , a
proportelo.
E non mi venite a dire che amore non è desiderare che tu
cambi o provarci a cambiarti, perché questo sarebbe buonismo. Intanto tra
coniugi c’è una cosa che si chiama
finalità unitiva o del mutuo aiuto, aiuto alla santificazione e quindi al
miglioramento. Poi verso i figli c’è l’educazione, che è guidarli alla santità,
e poi basta prendere il famoso episodio dei discepoli di Emmaus per vedere come
Gesù, lungi dal piegarsi ad un buonismo che gli farebbe abbracciare i due
discepoli così come sono –delusi fuggitivi- li guida, camminando vicino a loro,
e sgridandoli, a vedere la verità tutta intera.
Questo bisogna far capire loro, che quell’insulto non è
affatto tale, è une condizione come un’altra che un genitore accetta nel
momento in cui si fida a diventare madre o padre.
E questo è una grossa responsabilità, farla capire vivendo,
che tocca ad ognuno di noi.
Essere genitori è veramente molto difficile. Così come può essere difficile l'accettazione di un figlio diverso da noi. I genitori, nella maggior parte dei casi, amano i loro figli, ma a volte non riescono a dissimulare la loro delusione per non essere riusciti a crescerli come avrebbero voluto e questa delusione i figli la avvertono. Abbiamo visto il padre di Erika Nardi starle accanto anche se aveva ucciso madre e fratello e,come lui, tanti altri, o altre. Avere un figlio gay è proprio il minore dei mali...L'importante è che sia felice. Chi augura una cosa del genere pensando di augurare il male è semplicemente una persona meschina.
RispondiEliminaconcordo pienament!
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