Firenze.
Guido in una stradina stretta. Sto arrivando ad un semaforo. Rosso. Mentre
freno vedo che una vettura sta cercando di immettersi nella stradina, è
parcheggiata tra due alberi. Faccio una breve retromarcia per permettergli di
entrare.
Poco
dopo la scena si ripete. Quasi identica: freno, retromarcia, lascio passare.
Stop.
Già.
Stop. Perché nessuno dei due accenna il benché minimo segno di ringraziamento.
Non
dico un mazzo di fiori. Non dico scendere e stringere la mano. Basta alzarla
quella mano in quel segno tipicamente automobilistico che vuol dire scusa e
grazie al tempo stesso, forse li distingui dall’inclinazione del capo.
Ecco.
Ammettiamo che non li ho visti io quei gesti, che me li sono persi. Ammettiamo.
Ma
anche no. Che proprio non li hanno fatti.
Evvabbé,
chettefrega…lasciasstare.
Sì,
ma non mi concedo di non riflettere.
Perché
oggi stiamo dando per scontato che tutto ci sia dovuto. Non è stata presa per
gentilezza la mia, ma per il riconoscimento di un loro diritto.
E
temo che questo atteggiamento incancrenito ci stia percolando dentro, lo stiamo
assimilando per osmosi in un mondo che ci urla che tutto è nostro diritto: lo
sconto, l’eleganza, la bellezza.
E
che abbiamo motivi di superiorità nei confronti degli altri. I nostri diritti
primi.
E
ho deciso di combattere. Ferocemente. Astutamente. Violentemente.
D’ora
in poi sarà mia cura ringraziare con evidenza e ostentazione tutti coloro che
mi sembrerà avranno fatto un piccolo gesto per me, anche innavertito: lasciare
il passo, rallentare, frenare, far passare….
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