Viaggio
molto. E ascolto la radio. 24.
Non
24 radio, ma Radio24. Interessante. E utile.
Poi
ci sono un paio di trasmissioni che non gettano solo uno sguardo secco e acuto
sull’economia, ma strizzando l’occhio alle emozioni, alla letteratura, al
cuore.
Voi
siete qui. Conduce Matteo
Caccia. Parla bene. Non scivola sui luoghi comuni, su quel fare radio da
presuntuosi.
E
racconta storie, che pare il primo Baricco, neanche quello di Totem, ancora
prima, quello di Pickwick. Mi piace. Non indulge al manierismo, non gli piace
sentirsi parlare.
E
l’altro giorno mi ha conquistato. Leggendo
una storia. Di Dodo. Che parlava delle canzoni che hanno fatto la vita.
Un
gioco che mi piace. Quali sono le canzoni che hanno fatto la nostra vita? Lui
ne chiedeva tre. Troppo poche. Perché sono tante. Troppe forse, ma sono lì,
piantate al muro come un quadro, come una foto che ti ritrae con i calzoni
corti, in bianco e nero, sbiadita, i contorni sfuocati, oppure digitale, mentre
ti stringi a lei sul molo di Cape Codd. E come fai a negare un periodo della
tua vita?
Allora
giochiamo: elenchiamo la colonna sonora della nostra vita. Non tutta oggi, e
non so se la finirò. Dipende da voi. Se vi piace o no. Altrimenti inutile
sporcare la bacheca.
Se
volete raccontarmi le vostre, fatelo
qui su questa pagina, così resta visibile a tutti.
La
prima canzone di cui ho memoria, dopo quelle che mi cantava mia nonna e che
grondavano di struggente maledizione, di storie tormentate e infelici, con rari
sprazzi di sole: la Capinera, profumi e balocchi, la marsina color zafferano,
il vecchio frac, e la soave ninna nanna che mi cantava mia madre sulle note
della Spagnola, canzone sanguigna e ardita per i primi anni Sessanta, la prima
canzone di cui ho memoria dicevo è Ma che freddo fa, di Nada
(allora Malanima). E poi subito dopo Un mondo d’amore del
giovane Gianni Morandi, all’epoca in cui i dolci sospiri iniziavano a
gorgogliare.
Poi,
come un buio, dal quale emerge qualche strofa di Ti tirano le pietre, Io vagabondo, Mettete dei fiori nei vostri
cannoni, ma come sfumati, inavvertiti. Ininfluenti.
E
quando riapri gli occhi piomba lui, Baglioni. Non quello degli amori
passionali. Ma quello degli amori irrealizzati, dei sogni bruciati prima ancora
di volare, di quell’età surmunddrang che ha solcato l’adolescenza di chi si
sentiva in seconda fila, stracciato, umiliato, perennemente inadeguato, di chi
–come canterà anni dopo
Ruggeri- si sedava timido e non mangiava mai perché gli chiedessero
“cos’hai”. Poster. Sabato Pomeriggio.
A
tanto Baglioni rispondeva solo il primo Cocciante: L’alba, Era già tutto previsto.
E
nel cielo correva imperioso quel Cavallo Bianco che
sembrava segno di ogni speranza e di un futuro finalmente capace di soddisfare
ogni desiderio.
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Direi Claudio Villa, Granada ... e il Barbiere di Siviglia. Mio padre li adorava. Eppoi i dick dick... "vendo un po' di blu, dove il blu non c'è...". Poi Lando Fiorini e il mitico Elvis.
RispondiEliminaQuesto nella mia adolescenza e dopo sono arrivati i Righeira e Battiato. Baglioni poco.
Il resto è arrivato senza lasciare particolari segni. Tutto si è fermato al "cerco un centro di gravità permanente" eppoi è finita la gioventù e sono arrivate le cose serie e meno musica nella mai vita. Certo non posso dimenticare F.Mercury e madonna o Micheal.
Claudio Villa! Eggià! I dik dik però sono venuti dopo per me... mi sa che mi tocca scrivere la seconda puntata... grazie della... provocazione ;-)))
RispondiElimina