Schizofrenia.
Sindrome
dissociativa.
Con
isteria.
Non
so quanto consapevole. Da un certo punto di vista spero non lo sia.
Spero
sia inconsapevole. Spero sia frutto di totale obnubilamento.
Perché
vivere così è difficile, vivere nella menzogna. Vivere in totale disconnessione
con le realtà. Vivere imprigionati in una galleria degli specchi, tutti
deformi, che ti fanno vedere solo quello che vuoi vedere, che la tua mente
proietta, che distorce il vero.
Lo
so è un mio pallino, lo so: sono come un martello per cui tutto è chiodi,
chiodi da ribattere, chiodi da picchiare dentro ad un muro..
Forse
sono anche io malato: monomaniaco.
Oppure
sono Cassandra. Costretto a vedere senza essere capito.
C’è
che vedo: vedo questo meccanismo con cui i falsi miti vengono a galla, vengono
assorbiti per osmosi, vengono stesi come una vernice, come pellicola che
soffoca, che spegne la ragione.
Un
continuo assedio alla logica.
Prendi
questa vicenda, marginale magari, ma molto istruttiva –e a me interessa questo:
spiegare i meccanismi per difendersi, per svelare gli inganni, perché abbiamo bisogno di bambini che
gridino “il re è nudo”, che ci riportino alla realtà, che smontino le
costruzioni demoniache per rifarci vedere le stelle, per risvegliare il
de-siderio come spiega Nembrini-
prendi questa vicenda dei bamboccioni di Expo e capisci come sia possibile
intessere una serie impressionante di menzogne e trucchi e mistificazioni in
due notizie e l’effetto che fa.
Prendi
questa perché in apparenza è lontana da ciò che ci sta più a cuore. E invece
no, perché se nella banalità, se nella leggerezza si distorce, allora tutti
siamo in pericolo constante.
Ne
discende che abbiamo proprio bisogno di capire i meccanismi con cui i media
lavorano, ci serve per difenderci e aiutare gli altri a comprendere.
Seguitemi
che ne vale la pena.
Dunque:
su un “prestigioso quotidiano nazionale” (si dice così no?) esce una paginata
sul tema “i giovani ed Expo”, seguita da equivalente articolo on-line con
grande risalto. Obiettivo: sostenere la tesi che questi giovani sono choosie
(quanto disprezzo in questa parola eh?) e fannulloni.
Il
che in sé può avere un certo senso, che basta guardarsi in giro per capire che
questo non è un problema da trascurare, ma da prendere seriamente in conto.
Quindi
varrebbe la pena cercarne la radice. Eh, ma non si fa, perché è la medesima dei
falsi miti: è la voglia di avere tutti, il diritto di avere tutto senza fare
nulla. E questo non lo si può dire che verrebbe giù lo scenario di cartapesta
costruito per far credere che libertà non sia fare la verità, ma fare quello
che ho voglia: si scrive “segui il tuo cuore” e si legge “segui i tuoi ormoni,
quali che siano”.
Quindi
non è ben chiaro che cosa ci guadagnino a voler denigrare una generazione
facendole fare la figura degli invertebrati. Ma il tono dell’articolo è questo
fin dal titolo, che metto tra virgolette per staccarlo dal mio testo, ma che
non assicuro sia letterale, diciamo che il senso è questo: “80% dei giovani
rifiutano lavori da 1300-1700 € perché si lavora anche nei festivi”.
Monta
l’onda: questi giovani bambocciosi, imbambagiti, derisi e catalogati,
condannati senza ricercare né cause né attenuanti, reagiscono.
Ne
viene fuori un quadro diverso, dove la figuraccia la fanno, nell’ordine, il
giornalista e l’agenzia che intendeva reclutare i giovani.
Perché
intanto pare che
a) le
cifre citate siano lorde,
b) che
quelli che hanno rifiutato in massa,
per ragioni le più disparate non ultimo che sono stati avvisati poche
ore prima dell’articolo e hanno trovato altro nel frattempo, sono quelli che
vengono definiti stagisti (stagisti? Ed Expo? Ma non dovrebbe essere un
passaggio per imparare un mestiere? E qui quale mestiere impari? Quello dello
schiavo?) per i quali era previsto un rimborso spese (lordo?) di 500 € mese,
c)
che l’agenzia non l’abbia raccontata proprio così o proprio giusta.
Ora,
o abiti dentro Expo o quei 500 € quasi quasi non ti bastano neanche per i
trasporti (biglietto giornaliero 4,50 €, nessuna convenzione con l’agenzia: fa 135
€ per 30 giorni di lavoro, poi c’è il vitto, l’alloggio per chi non abita a
Milano e molti dei selezionati vengono da altre regioni dice l’articolo…).
Questo
non è un lavoro sottopagato, questo è un hobby abbastanza costoso.
I
giovani reagiscono con orgoglio e razionalità: dati alla mano. Infatti ecco il
dietrofront: l’agenzia pubblica goccia a goccia i dati e il quotidiano in
questione una serie di interviste e contro-articoli che demoliscono la tesi del
primo pezzo.
Ma,
attenzione, senza mai metterlo in discussione o scusarsi. Mai. Così, come se la notiziona fuffa l’avesse
data un altro periodico.
Che
cosa c’è da imparare qui?
Beh
intanto che della stampa non ci si può davvero più fidare: o scegli le firme di
giornalisti che conosci –oltre a quelli che scrivono qui, ne ho in mente una
trentina di persone dal carattere specchiato e dall’onestà conclamata, onestà
intellettuale innanzitutto- oppure tutto va messo in discussione, perché qui le
fonti non le cerca più nessuno. Quasi più nessuno, absit iniuria verbis, alza
più il culo dalla sedia.
Ti
nascondi dietro al fatto che ti è arrivata così la notizia, sì ma che cosa ci
stai a fare tu? Tutti editorialisti?
Non
sarà che quello che i media hanno in mente non è trasmettere notizie ma
sostenere una ideologia?
Lo
si vede quotidianamente sui temi che questo quotidiano discute con passione,
come vengono trattati da altre testate manipolando i fatti, aggettivando con
malizia, virgolettando i loro pensieri per attribuirli ad altri con cattiveria,
rifiutando sistematicamente la correzione.
Pensi:
ma questa è guerra, non è corretto, non è etico, ma per lo meno lo posso
comprendere.
Ma
sulla vicenda citata? Guerra con chi?
No,
il punto è che ormai scatta solo la visione ideologica: questi giovani sono
smidollati, non se ne salva uno, guarda qua, non vogliono più lavorare! E giù
botte senza neanche provare a informarsi. È la costante manipolazione del
reale, deformato dallo schermo della propria ideologia tutto deve conformarsi a
questo.
Chessò,
fanno un servizio su un istituto pubblico non statale perché ha ottenuto un
prestigioso risultato sportivo? Ti trovi il cronista che indaga per sapere
quanto ha speso o intrallazzato la scuola per arrivare al quel successo, e che
per forza sei una scuola di ricchi e che con i soldi che hai speso sai quante
scuole povere e democratiche rimettevi in sesto? Invece avrebbe potuto
intervistare allenatori e studenti e genitori per tirarne fuori una di quelle
belle storie all’americana dove lo sport aiuta a superare tutto.
Tutto
è ideologia e tutto deve essere incastrato dentro ad uno schema precostituito.
Ma
non basta: altra lezione. La notizia è effimera, i lettori sono imbecilli che
non ricordano. Ho preso un colossale abbaglio, non sento il diritto di
scusarmi, di dare una spiegazione. No, basta che rigiro la notizia: prima la
tesi era che i giovani di oggi non vogliono fare più fatica (e quindi magari
abbiamo bisogno di navigli di immigrati che li facciano) e invece adesso al
centro ci sono questi poveri ragazzi che vorrebbero tanto lavorare ma che sono
sfruttati, colpa del Jobs act, colpa delle imprese capitaliste cattive a caccia
di mandopera schiavizzata.
Rigiri
la notizia, cambi focus e il gioco è fatto.
Oppure
tutto è opinabile, non esiste realtà: basta mettere “a confronto” opinioni
diverse, due voci –che poi non sono mai equilibrate, basta cambiare il
carattere, dosare i titoli e sai bene da che parte far pendere la bilancia- che
sostengano tesi diverse e tutto è giusto, corretto. Davvero? Non c’è più una
verità? Immaginiamo un dibattito tra chi sostiene che 2+2=4 e chi invece dice
che 2+2=3 e lasciamo scegliere al lettore?
Ma
è così? lettori così imbecilli che non se ne accorgono?
Terzo
elemento: l’inconsistenza culturale. Parlavo di schizofrenia. Dissociazione.
Sostenere una tesi ideologica senza esaurirla. Senza cercarne le fonti. Vuoi
stigmatizzare il fannullismo dei giovani? Può starci dicevo, è un fenomeno
vero, crescente, doloroso. Si ricollega davvero ad una visione distorta dell’educazione.
Sono frequenti i casi ormai di aziende che segnalano un fatto che ha
dell’incredibile: il candidato si presenta al colloquio accompagnato da almeno
un genitore che vuole avere voce in capitolo!
Il
senso del lavoro è stato smarrito: non è un più percepito come una attività
significativa della mia vita che mi permette di sviluppare qualità umane mentre
con serietà contribuisco alla costruzione della società, ma è diventato quel
doloroso tunnel nel quale devo transitare per poter vivere la mia vita che è
fuori da lì.
Bene,
e allora non ti chiedi perché si è arrivati qui? Non cerchi di indagare sulla
demolizione della educazione che i falsi miti rilanciano? Non provi a capire
come la distruzione delle figure genitoriali, del ruolo del padre e della
madre, sono la causa prima?
No!
Per
te conta solo l’ideologia, la notizia. Non ti fai neanche più domande. Non
cerchi di capire, non cerchi di trovare il perché, non vuoi farlo. Troppa
fatica e poi magari si rischia di dare ragione a chi indica la verità, a chi
combatte questi falsi miti.
E
una società che abbia perso il gusto della domanda è una società sazia e
impazzita destinata all’estinzione in tempi brevi.
Nessun commento:
Posta un commento