Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

giovedì 19 novembre 2015

Codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non vogliamo





Le liste di Fazio e Saviano.
8 anni di Obama
Il crocefisso nell'urina patrocinato dallo Stato
La festa dell'inverno per non turbare le coscienze
I ponti e i muri
La “lotta” per i matrimoni LGBT
L'utero in affitto
La rimozione delle radici cristiane d'Europa 
La politically correctness
I radical chic
Se sei cattolico come puoi votare?
Mai la guerra senza se e senza ma. Evviva la lotta della Resistenza contro il nazi-fascismo.
I #jesuis senza capire
Le connivenze cattoliche, quelle adulte.
Gli adulti con qualunque finta appartenenza
L’aborto e la soppressione degli embrioni malati
Il “la mia libertà finisce dove inizia la tua”
La società liquida senza contenitori
I “chi sono io per giudicare” manipolati
“Sono solo ragazzi”
Denunciare la maestra che rimprovera tuo figlio
Vietare la mostra di Van Gogh e Chagal per non turbare le coscienze
La primavera araba
Esportare la democrazia
Il cattolico non ha diritto di esprimere le sue idee politiche
Tirare la giacchetta alla misericordia
Il diritto al lusso
Va’ dove ti porta il cuore
Ho diritto.
I “Sarà di cattivo gusto, ma c’è la libertà di espressione” a senso unico
Gli assalti alle Sentinelle in piedi
Saviano e Fazio. E la Litizzetto.
I talk show su La7
I prelati che sperperano denaro
“Con Isis dobbiamo dialogare”
La presidenta.
Il furore leghista.
I ROM sono da capire. No anzi da bruciare.
I funerali holywoodiani.
Era una persona onesta.
Scisc.
#Staisereno.
L’irrisione è sempre lecita, tranne quando è rivolta alla parte che governa l’opinione.
Tutto ma non Salvini. Beh, neanche Belpietro.  E Gasparri. E Razzi. Beh insomma tranne quelli lì.
Uccidere un fascista non è reato.
I sacerdoti conniventi con chi dissolve la verità. Chi dissolve la natura e la verità.
A me non risulta.
Da me non è mai successo!
Selvaggia Lucarelli. E Belen. E Morandi.
Bisognerebbe metterli tutti al muro
NOI DOBBIAMO INTERVENIRE AVENDO IL CORAGGIO DI GRIDARE AI FRATELLI MUSULMANI NON SI UCCIDE IN NOME DI DIO!
Imagine. “immagina che non ci sia un paradiso e neppure una religione”.
Oriana è una pazza. No è una profetessa!
Una manifestazione per fermare l’orrore
Tingiamo i nostri profili Facebook
Buon vento, che la terra ti sia leggera
Gli altari laici, le preghiere atee, i minuti di silenzio
"Io sostengo che la Tav vada sabotata
Sabotare è un verbo nobile, lo usava anche Gandhi"
Giletti è da perseguitare: non può esprimere il suo parere su Napoli!
"La lista degli edifici imbrattati datami da un #NoExpo Qui si spiega perchè sono atti di protesta e di non vandalismo"
"e decapitazioni dei cristiani sono secondarie rispetto alla sofferenza dei musulmani"
"Non credo che queste persone abbiano fatto una discussione teologica a bordo"
"Mio figlio è solo un pirla".


Potrei continuare, le liste mi entusiasmano. È un modo molto infantile di sentirsi apposto, di stare sula lavagna dei buoni. E scrivere qui l’elenco dei cattivi.
Non che alcune di queste cose qui, che ho scritto con estremo godimento, non stia –e non solo nel mio sentire- nella lista dei cattivi, o per lo meno degli imbecilli. Meglio: dei cattivi maestri, delle cause prossime della devastazione nella quale viviamo. Che sopportiamo. Che ci schiaccia.
Non voglio negare che ci sia dentro un senso, una razionalità.
Non voglio negare che mi irritano i comportamenti irrazionali di chi segmenta il mondo fingendo di amarlo tutto. E la bella affermazione di Marco Cobianchi svela ogni inganno “Con molta, moltissima calma provate a spiegare (e a spiegare a voi stessi) perché Charlie Hebdo è libero di scrivere e disegnare ciò che vuole e Belpietro no”. E aggiungerei a Belpietro: le Sentinelle in Piedi…
Non rinnego la mia rabbia. La mia paura. La mia voglia di vendetta. Ne prendo le distanze, ma non la nego. Non la riesco a spegnere.
Anzi, ci tengo ad affermare che le belle frasi ad effetto ed eleganti che inneggiano alla pace monolaterale mi imbarazzano, perché mi paiono così lontane dalla verità. Che ti viene da chiederti: ma questi, questi che credono, che accendendo una candela, che colorando di tricolore il proprio profilo Facebook, che fotografandosi tenendo in mano un cartello con un hashtag di tendenza, questi che credono di sconfiggere i terroristi a colpi di tweet, questi che la guerra mai senza se e senza ma, non sono gli stessi che ogni 25 aprile scendono in campo a urlare il valore della Resistenza contro i nazifascisti? Perché non mi pare che i partigiani siano andati mettendo fiori nei loro, e altrui, cannoni… mah.
Ha ragione Giovanni Scrofani, un ruvido opinionista dei social media, che apprezzo per la capacità di scartavetrare le banalità, anche se qualche volta va fuori strada, quando scrive: “Riassumendo le brillanti soluzioni rinvenute in rete oggi... deportiamo tutti i mussulmani lontano dalle nostre città che i tedeschi negli anni '40 hanno movimentato un sacco di gente e funziona... vogliamoci tantissimo bene che poi ai terroristi gli passa la voglia di terrorizzarci... qualcuno (non io) dovrebbe fare la guerra che pone fine a tutte le guerre e ammazzare tutti e ferire seriamente i sopravvissuti... andiamo ai concerti e al ristorante come se nulla fosse che poi ai terroristi gli passa la voglia di terrorizzarci... mi chiudo in stanza a piangere... mandiamo Di Battista a dialogare con l'ISIS (hahahahahaha)... mandiamo Di Battista a dialogare con l'ISIS (serio)... c'aveva ragione Oriana c'aveva... c'aveva ragione Orietta c'aveva... mi cambio l'immagine del profilo così il Califfo piange... Peccato che durante la caduta dell'Impero Romano non c'erano i social sarei curioso di vedere come l'avrebbero raccontata”.
Ora Montale è stato davvero profetico in due delle sue poesie che amo di più. Tra le altre si intende.
C’era della lucidità auto-ironica nel suo Non chiederci la parola, che si conclude con queste mirabili parole “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Ecco, questo oggi sono io (beh questo lo diceva Alex Britti, ma è tutta un’altra storia). Non so cosa voglio, so cosa non voglio.
Non voglio questo mondo sporco che strappa le speranze. Non che ti fa rischiare la vita. No. Quella È  vita. Non lo scopriamo oggi. Oggi lo riscopriamo dopo l’ubriacatura che aveva tenuto lontana la morte, facendoci credere invincibili e immortali. Dovremmo tutti riascoltare Samarcanda. E non far cadere dalla bocca una preghiera purtroppo smarrita “a morte improvvisa libera nos Domine”. Liberaci dalla morte immediata, che poi vuol dire “regalaci un letto di sofferenza”, guarda caso ciò che proprio il mondo non vuole.
No. Non è la morte che spaventa, quella che ti aspetta fuori casa e non ti lascia neanche il tempo di salutare. Perché finire sotto un camion o sotto una raffica di mitragliatrice fa poca differenza. I tagliagole c’erano anche nel passato perché la cavallina storna riporta colui che non ritorna. Non è questo che fa paura, il sapere che esci da casa e non sai se ci ritorni o se ci trovi chi hai salutato al mattino. Perché ci sarebbe da ringraziare Dio solo per quetso.
È l’aver sottratto la speranza. Perché i muri strappati dai crocefissi non servono a costruire ponti ma a scavare fosse e generare prigioni. Perché se non ripartiamo da lì, dal senso dato alla vita, finiamo nella fossa comune. Ma ben prima di essere morti.
Torniamo a Montale e a Maestrale, che si chiude con questa verità “perché tutte le immagini portano scritto:" più in là "!”. Certo, bisogna leggere in trasparenza la realtà, guardare oltre con il capo alto. E riscoprire quello che san JoseMarìa Escrivà de Balager scriveva nei primi anni Trenta: “Queste crisi mondiali sono crisi di santi” che non vuol dire che bisogna spalancare ponti levatoi verso sponde che non solo non vogliono accoglierli, ma sono pronti a usarli per invadere i benpensanti. Ma che è ai santi che si deve chiedere la strada da seguire.
Diceva Giovanni Paolo II, santo appunto, che la soluzione ad ogni problema si trova cercandola nelle scritture. E nella preghiera. Che magari è quella che il beato Marco d’Aviano rivolge ai soldati prima della battaglia di Vienna del 12 settembre 1683 (capito perché l’11 settembre è avvenuto l’11 settembre?) o i rosari recitati nella flotta guidata da Don Giovanni d’Austria il 7 ottobre 1571, poi diventata festa della Madonna del Rosario.

Certo, ribadisco, non so cosa si debba fare. Non so cosa sia giusto e cosa non giusto. Non voglio che sulla mia pelle ci sia scritto #jesuisGiuda cioè l’apostolo traditore che si sentì tradito da un Dio che non volle farsi Re, vendicare i “buoni” schiacciando i cattivi e i nemici nella violenza. Non voglio questo. So cosa non voglio, ma non so cosa voglio.
E credo che con me, in questo limbo, siano in tanti. Un po’ come Giaro che, appreso della morte della figlia, si sente dire “non temere, continua solo ad avere fede”.

Che non è la cosa più facile da fare, ma di sicuro l’unica che abbia senso.

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