Ti senti
bella. Di più. Ti senti fine, elegante. Se fossi vissuta nel secolo scorso ti
saresti trovata a tuo agio nei panni di una nobildonna francese o di una
baronessa russa; o forse, meglio, saresti stata un'eccellente milady inglese, generosa anche con la
servitù. Cammini con tranquillità, lo sguardo alto, il portamento altero di chi
sa di valere e di non avere nemmeno bisogno di dimostrarlo. Non vesti in modo
affettato per affascinare: sai che non ti serve, ti basta la semplicità, anche
se non sobria, ma piuttosto raffinata. Non solo, ma hai capito benissimo, lo
spiegavi proprio ieri alla tua amica in mensa, che un abbigliamento
appariscente invece che colpire la fantasia di un uomo e scuoterne il cuore, lo
afferra solo per i genitali ispirandogli pensieri indegni per lui e per te.
" Preferisco piuttosto il sussiego", le dicevi, "forse un po'
esagerato in quest'ambiente aziendale, ma sicuramente più distinto che la
volgarità". E tu vuoi certo distinguerti. Nel lavoro sei precisa, attenta,
anzi perfetta: arrivi molto più in là di dove potresti fermarti e ci tieni che
gli altri se ne accorgano. Manovri perciò in modo che i tuoi successi siano
visibili, senza che sia tu a renderli palesi. Abbandoni con sapiente noncuranza
una statistica vicino alle vaschette della posta interna, perché sai che i
curiosi non mancano e che verranno a chiederti ulteriori spiegazioni, finendo
per lodare la tua iniziativa. Ti presenti alle riunioni con dati sempre
aggiornati e stupisci tutti i superiori presentando già informazioni che ti
avrebbero chiesto in futuro. Poni agli altri domande delle quali conosci già le
risposte e di fronte alla loro ignoranza suggerisci una possibile soluzione,
quella giusta ovviamente, e ottieni la loro gratitudine e la loro stima. Quando
ti lodano, ti schernisci: riesci ad arrossire appena. Sorridi. A volte una
risata lieve ed argentina tintinna tra le tue labbra appena socchiuse.
Accavalli le gambe, giri intorno lo sguardo assumendo un' aria modesta che mal
si adatta al tuo viso. Alzi le spalle, chiudi il colletto della camicetta con
un gesto vezzoso e cambi discorso. Se chi ti loda ripete il suo encomio, non
fuggi più e ti lasci ammirare. Sei severa: siccome sei rigorosa con te stessa,
pretendi, a ragione, che tutti i tuoi colleghi lo siano altrettanto. Non
sopporti i lavori affrettati, non sei propensa a scusare, anzi cerchi sempre il
lato più torbido nelle azioni degli altri. E' come se ritenessi impossibile che
attorno alla tua luce splendente possa esistere ancora qualche piccola chiazza
di buio: tutto viene fatto contro di te, non soltanto per superficialità. Sei
donna: questo basta a condannare gli uomini in una sorta di contrappasso per
tutte le angherie che nei secoli il sesso femminile ha dovuto sopportare nel
mondo del lavoro. Quando l'irritazione sfiora il tuo viso, allora è il
temporale: nuvole gonfie e cerulee si annidano nei tuoi occhi e la grandine
sferza chiunque osi varcare la soglia del tuo ufficio. Cambi persino voce: non
potresti lasciarti andare a espressioni volgari, certo inadatte ad una signora,
con il medesimo tono con il quale commenti l'ultimo film che hai visto. Il
collo ti si irrigidisce e tutta la tua femminilità si rovescia in scatti di
ira, come se tutte le ferite, che tu credi di aver accumulato in una vita di
lavoro, potessero venire risanate in un rabbioso duello che contrappone il tuo
orgoglio alla fatua insensibilità degli altri. "Sono donna" pensi
dentro di te in un lampo nervoso, "e non lo vogliono capire: o meglio, lo
capiscono fin troppo e non si rassegnano. Che mai succede? Una donna, sposata
per giunta, che lavora e produce assai meglio di tanti uomini? Che sia
prostrata professionalmente, che le sia negata l'informazione e la sua gestione
venga potata laddove questo non comporti rischi per l'azienda". Questo è
quello che leggi negli occhi dei tuoi colleghi e non c'è ragione per odio più
profondo. Insulti ad alta voce, forse più rivolta a chi può ascoltarti che non
al tuo nemico. Sai di avere l'attenuante della ragione, che nessuno può
negarti, e perciò superi con voluttà il limite della decenza, sicura che
nessuno verrà a rimetterti al tuo posto. Comunque, hai sempre l'attenuante
dell'isteria femminile: non è né onesto, né professionale, ma qualche volta è
un alibi comodo, soprattutto per loro che lo pensano. Non sempre riesci a
trovare in breve tempo la strada che ti riconduca alla serenità, ed allora sono
giorni bui per tutti. Parli a scatti, agiti frenetica le mani, spargi documenti
sulla scrivania per riordinarli e di nuovo suddividerli in compiti diversi.
Togli e rimetti gli occhiali di continuo, come se l'inquietudine che porti
dentro potesse placarsi con i gesti del corpo. Il tuo viso si indurisce, cambia
colore: gli occhi si assottigliano assomigliando sempre di più a due feritoie
incise di sbieco sulla garitta di una torre di guardia. Se non avessi già
smesso, e ogni cosa che tu decidi non può cambiare, ti metteresti a fumare con
rabbia, solo per il gusto di deformare la tua immagine e attirare ancora di più
l'attenzione su di te.
Non ti ho
mai visto piangere, non è da forti. Il tuo rancore sublima lentamente. Spesso
ti basta sfogarti con qualcuno dei tuoi confessori, che cambi spesso, dando la
preferenza agli ultimi arrivati, soprattutto se più giovani di te. Con loro
puoi giocare la doppia carta della donna di esperienza e della madre premurosa.
Ti stanno a sentire, spesso di te si innamorano: non certo abbassandoti al
ruolo di una possibile amante, ma innalzandoti sul piedistallo della donna
ideale o della sorella desiderata. Stanno lì, con gli occhi lucidi, rosi da
questa casta passione, a guardarti mentre parli loro di questo e di quello e
sorridi e il tuo volto si illumina. Allora, dal loro silenzio, dall'ammirazione
che riempie la stanza intera, vieni purificata e riacquisti il tuo sguardo
limpido. Loro sorridono con te, felici di aver riacquistato la loro dea e di
aver contribuito, con il loro amoroso sacrificio, a pacificarla. Tornata la
calma, ti guardi in giro, con una mano riordini i capelli e ti senti salire
verso l'alto, in quelle regioni del cielo dove splende di nuovo il sole, per
riprendere il tuo posto. Non si può certo dire che semini discordia o che
ostacoli i colleghi. Certo, non rifiuti a nessuno il tuo disprezzo: il tuo
primo sentimento è il dubbio e il colpevole di una simile abitudine meriterebbe
un odio feroce. Ami conversare sottovoce durante le riunioni, come una
studentessa dell'ultimo banco, sottolineando errori e trasgressioni degli
oratori, soprattutto di quelli che hanno meno confidenza con te. Non hai tutti
i torti. Prendi nota, non dimentichi mai le ferite che pensi di aver ricevuto
dai colleghi e, come un disco fisso di infinita capacità, registri tutto al
posto giusto -per te non esiste il comando che cancella i ricordi- come se
potessi poi ergerti, proprio tu, a boia nel giudizio finale sulla vita di
ognuno. Se ai colleghi non risparmi il tuo odio, quando -secondo te- lo
meritano, sai intrattenere amabilmente i clienti, come si conviene ad una vera
signora, e certe riunioni, affidate alle tue cure, assumono più il tono
vaporoso di un the fra amiche, che non la rigida cortesia del lavoro.
Non hai
figli e ormai non ne vuoi: lo fai per loro. "Come potrei essere una buona
madre? Come potrei seguire un figlio nel modo giusto", commenti spesso con
le amiche, "se tutte le sere il lavoro mi costringe a tornare a casa tardi
e se spesso mi tocca cenare fuori? Come potrei smettere di lavorare per
prendermi cura di lui? I soldi non bastano mai per il necessario: e non vorrei
certo vedere mio figlio vestito male o frequentare brutte compagnie. Preferisco
un figlio di meno, ma un golfino di più e siccome figli non sono arrivati
prima, adesso è meglio lasciar perdere". Tuo marito è d'accordo. E' un
chirurgo di fama. Tu adori la sua figura, così austera e imponente, sprizza
carisma da tutti i pori. E' alto, leggermente brizzolato, la carnagione appena
brunita e occhi seri. Non sorride spesso e incute rispetto, più che timore. Ha
gesti lenti, precisi. Sfoglia le pagine di un libro come se stesse operando a
cuore aperto. Ciò che ti ha sempre colpito di lui sono le mani: le dita
affusolate e le palme larghe e morbide come batuffoli di nuvola possono
accarezzare con delicatezza e al tempo stesso sanno incidere rapide e precise
per ridare la vita. Ogni suo sguardo ti accende di tenerezza: quando torna
stanco alla sera, sai dargli quel calore che desidera senza fargli pesare la
tua stanchezza. Vuoi essere una moglie degna di lui, anche per questo punti in
alto nel lavoro. Sai che la sfida, prim'ancora che con i tuoi rivali, è con il
tuo sesso: proprio per questo arriverai. Certe volte ti irritano le donne,
perché si ostinano a volare basso, come galline, mentre tu hai l'ardire
dell'aquila. Ti infastidisce sapere che si accontentano, considerando un peso quello
che per te ha grande senso. Guardi con distaccata simpatia le tue colleghe che
parlano di asili, bambole, influenze. Ami i bambini, purché stiano lontani.
Dici di essertene fatta una ragione e lo sguardo ti si vela di sottile
malinconia, come per una commedia che avresti voluto proprio andare a vedere,
ma che ti è sfuggita a causa di impegni improrogabili.
Ti turba,
qualche volta, pensare forte alla tua vita: ti sembra che scivoli come una
barca sulla corrente di un fiume. Te lo immagini largo, limaccioso, le rive
confuse dalla boscaglia, come quello che vedesti l'anno scorso in Brasile
durante le vacanze. Sai che tutta quella tranquillità nasconde, prima o poi,
una improvvisa cascata: non è che ne temi la pericolosità, ma piuttosto detesti
l'idea che potrebbe coglierti impreparata. Allora scosti le tende e guardi
fuori dal vetro della tua villa di campagna, ti stringi nella camicia da notte
di seta per scacciare quel brivido che senti più dentro che fuori. Le foglie
degli alberi muoiono nel vento e vengono a giacere sull'erba del tuo giardino.
Le fissi alterata, ti sembra che qualcosa stia colando dentro di te: una sorta
di miele acido e vorresti liberartene. Tuo marito ti si avvicina, ti stringe
per le spalle, ti posa un bacio sui capelli. Tace. Chissà a cosa pensa? Chissà
se condivide le tue stesse indecisioni, se anche lui cerca di scivolare sotto
la calma superficie del fiume, o se desidera prender terra in qualche punto
della riva? Chissà se pensa mai al fiume o se s'immagina la vita in modo diverso
dal tuo? "Chissà se vive", ti domandi, "e se vivo anch'io con
lui". La luce sta pulsando nel cielo grigio. Tu che sai cosa vuoi, o credi
di saperlo, ti riscuoti ed indicando le foglie che si accumulano sul prato come
un tappeto giallo, gli dici: "Bisognerà toglierle dall'erba o la
soffocheranno tutta".
Nessun commento:
Posta un commento