Cherchez la femme. Si diceva. Regola base
dell’investigatore. E siccome ci sentiamo un po’ detective dell’anima,
scrutatori della società, Jane Marple delle dinamiche ci mettiamo anche noi a
cercare non la donna però, ma la pubblicità.
Già. Perché la pubblicità è un importante indicatore delle
tendenze. Il pubblicitario coglie i sintomi di nuovi atteggiamenti e li
esaspera, per trasformarli in uncini con i quali trascinare le folle. E questo
è decisamente palese se si guarda con attenzione il mondo che ci circonda.
Ad esempi guardate l’esplodere di pubblicità che esaltano i
diritto: il diritto alla felicità, il diritto al lusso, il diritto al piacere.
Concetti devastanti che instillano da un lato la presunzione
che piacere, lusso siano sinonimi di felicità, dall’altro che ci sia un diritto
a tutto ciò, diritto non intenso come potenzialità –tutti devono poter
ricercare la felicità, come afferma la Costituzione Americana- ma come bene da
ricevere: ho il diritto che gli altri mi rendano felici. Permettendomi quello
che voglio. Ad esempio il diritto ad un figlio. Ma questo già lo sapete.
Prendiamo dunque un evento accaduto in settimana: la
battaglia contro una delle più aberranti pubblicità mai apparse sulla scena
italiana. Che va esaminata per leggerne in trasparenza due punti salienti: i
messaggi trasmessi e la valenza delle reazioni.
L’orribile spot televisivo, presente anche in rete,
introduce un romantico maritino che entra in casa con un bel mazzo di fiori e
che scopre, con forte reazione, i vestiti della moglie sparsi per la casa.
Spalanca sorridente la porta del talamo per scoprire la moglie con l’amante: un
koala. Che mastica una chewingum. L’ultima inquadratura è ancora peggio: la
donna giustifica la sua attività con un’espressione che mostra l’irresistibile
potere della gomma.
Ora chi ha pensato una pubblicità così demenziale, volgare
non ironica, di quella trivialità bassa che una volta si sarebbe detta da
caserma, evidentemente considera normali, cioè accettati, sia il tradimento sia
il sesso con animali. Che non c’è umorismo nello spezzare la dignità femminile
facendo credere che una donna possa desiderare di fare sesso –che solo questo
è- con un animale.
Le conseguenze sono palesi: ormai il piacere è tutto, basta
che il compagno di letto sia avvenente, anche se è un animale.
La marca, che già ci aveva abituato a pubblicità di dubbio
gusto, come lo scoiattolo petomane, mostra di non comprendere la linea di
demarcazione tra umorismo, non dico ironia, e battutaccia da trivio. E più
volte la supera senza ragione se non quella di affermare che ormai la società
vuole questo, volgarità a profusione, che non è più capace di ascoltare se non
i toni urlati, beceri, sdentati. E questo mi preoccupa. Se poi, dopo essere
stato scosso per questa degradante descrizione della relazione coniugale, ti
metti in macchina e ascolti le pubblicità radiofoniche, ti viene voglia di
fermarti sul bordo della strada e piangere, perché se l’Italia è quella che i
pubblicitari ritengono destinatari dei loro messaggi, che da avere paura per il
nostro futuro, ma anche per il nostro presente.
E infatti, ecco la seconda parte che se avvilisce, incita
all’azione, alla battaglia contro la devastazione delle coscienze.
Il modo migliore per attaccare oggi, lo sappiamo anche
tristemente, è quello di intervenire sui social media. Così agguerrite signore,
che non hanno per nulla apprezzato la pubblicità, iniziano a dimostrare il loro
disappunto sulla pagina ufficiale della famigerata gomma da masticare. E qui succede
un preoccupante fenomeno.
Se da un punto di vista di marketing è folle, è però
comprensibile che il social media manager –non lo invio- cerchi di difendere
l’indifendibile sostenendo la brillante e sottile ironia dello spot. Inizia a
sbagliare, tecnicamente parlando, quando passa dall’affermare il punto di vista
aziendale all’accusare i critici di essere privi del senso dell’umorismo.
Grave comunque pensare che una grande azienda abbia ritenuto
divertente ipotizzare un rapporto sessuale tra una donna ed un animale. Senza
capirne le implicazioni. Probabilmente tutti uomini quelli che hanno deciso. E
anche questa è una ipotesi amara. Molto penosa.
Ancora peggio commenti di altri navigatori del social media,
tutti uomini, che accusano le infuriate signore di non capire la comicità, di
prendersela per un nonnulla, di non vedere nulla di male nello spot
incriminato.
Questo mi spaventa ancora di più. Questa mancanza di
sensibilità, questa anestesia totale sul significato delle situazioni. Una
sorta di anoressia dell’animo, autismo della verità, della natura. C’è davvero
questa deriva che tutto rinchiude nel piacere, nella libertà personale vista
come sfogo delle proprie pulsioni? Possibile non capire il marcio che c’è nel
mettere in scena un tradimento –che non è concetto solo cristiano, ma laico:
come si fa a sostenere che l’onestà fa il buon amministratore, ma svincolare
onestà da fedeltà!- come scenario positivo, giustificato dall’avvenenza che un
animale può conquistare masticando una gomma.
Come non vedere nulla in una situazione come questa?
La pubblicità mostra come l’emotivismo, mescolato
all’egolatria, sta sradicando dalla società il senso della realtà.
È nostro dovere combattere per tenere svegli gli animi,
sollecitare le coscienze, istigare alla sorveglianza. Non facciamoci
anestetizzare, non lasciamo che la puzza del male ci ubriachi e stordisca a tal
punto da non capire più il senso della vita e dei singoli fatti.
Vegliamo ed agiamo, per non rimanere noi stessi vittima di
questa assuefazione al male.
A margine e in conclusione, una riflessione: devo essere
sincero e schietto, mi irritano profondamente coloro che, in risposta alla
segnalazione di un programma tv, una pubblicità, un articolo di giornale
negativi, affermano: ah, ma io la tv non la guardo da anni. Che cosa c’entra?
Perché chiudo la porta di casa, o peggio: gli occhi, il male non esiste? E
oltre a te chi c’è nel mondo che può essere influenzato?
Questa affermazione a mio parere ha due sfumature da non
trascurare:
da un lato mostrano forte egocentrismo e cecità sociale. Se
non riguarda me chissenefrega!
E dall’altro lato hanno il recondito scopo di farci vedere
migliori: ma come? TU, proprio TU non hai ancora capito che la TV non si
guarda? Che i giornali mentono? Che la pubblicità è male in sé? E questo non è
un comportamento che si possa definire virtuoso.
quel koala è odioso. Effettoopposto da quello voluto da ufficio marketing. Stop buy AirAction.
RispondiEliminaE' vero. Ci sono delle pubblicità veramente di cattivo gusto. Chi progetta lo spot, però, è una persona che studia il targhet, cioè noi, e cerca di dargli ciò che pensa possa piacergli, ergo, queste orrende pubblicità potrebbero essere il segnale di una società che si merita ciò che chiede, cosa molto, molto triste.
RispondiEliminaD'altra parte basta guardare il successo di trasmissioni come Il grande fratello, che sta a significare come ci siano moltissimi utenti guardoni che si dilettano nello spiare la banalissima vita di gente che non fa altro che mangiare, oziare, dormire e saltare nel letto dell'uno/a e dell'altro/a.
Qualche giorno fa, dovendo impiegare qualche minuto nello spostarmi da una classe all'altra, distanti diversi corridoi e rampe di scale, una mia classe è rimasta da sola per quel breve periodo di tempo. Ebbene, nel corridoio è passata una mia collega con una neonata in braccio, figlia di un'altra docente ancora in congedo per maternità, e i ragazzi erano talmente curiosi di vedere la neonata che si sono letteralmente gettati sulla porta per guardare in corridoio Nello spostamento un ragazzino è caduto e gli altri, invece di soccorrerlo, gli sono passati tranquillamente sopra, calpestandolo in più parti del corpo. Insomma, la voglia di curiosare era molto più forte di quella di aiutare il loro prossimo. Era un fatto nuovo, mai visto. Anche la donna e il koala può essere considerato un fatto nuovo, che attira l'attenzione del pubblico. I pubblicitari non hanno morale. A loro interessa solo vendere. Che se ne parli in bene o in male non conta. L'importante è che se ne parli. Il bersaglio è colpito.
Non è più così vero che "basta che se ne parli", se se ne parla male fa male all'azienda.
EliminaSono d'accordo che il degrado è tale che il target di queste schifezze esiste.
Lottiamo per non cedere!
Grazie!