Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

martedì 29 gennaio 2013

Il chiosator scortese




E poi c’è il chiosator scortese che ogni post non gli va bene.
Tu scrivi e patapam arriva la critica, la precisazione, il dettaglio. Mai la domanda. Perentorio il chiosatore ti fa la predica, che se scrivi che cosa ci fa una ragazza alle 6.30 di mattina, dentro l’aeroporto senza finestre, con indosso occhiali da sole da vamp, così per deridere le stranezze dei costumi, ti bacchetta affermando, sicuro, che avrà un glaucoma o la congiuntivite.
E se fai una battuta non la capisce e puntualizza e così risponde a una domanda retorica mostrando se non altro che sei stato incapace di mettere agli atti quella tua voglia di giocare con le parole e i concetti.
Il che è una bella lezione.

1 commento:

  1. Temo di dover condividere in toto... non so se per finalità elettive o per semplice coincidenza anagrafica, con l'unica differenza che nel "aprire un blog" non mi sono spinto sino al punto di parlare esattamente di me, ma ahimè, né per mancanza di vanità, né per troppa umiltà.

    Ciao Paolo

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