Un attacco rock. Accordo strinato e forte, giro semplice
come Smoke on the water. Meno duro però, ammorbidito da una batteria più stile
disco che Made in Japan. Bello secco però, da scatenare le gambe.
È una suoneria di un cellulare: ciumbia si potrebbe dire.
Non fosse che la proprietaria potrebbe essere mia nonna, il
che ma confina già verso il secolo, e che l’ambiente dove il ringhio rock
satura l’aria è una chiesa proprio mentre il sacerdote sta celebrano e si
avvicina pericolosamente alla consacrazione.
E la seconda sera di fila.
Dico: spero almeno sia colpa dell’Alzheimer, dell’età,
perché altrimenti due indizi fanno una cafona. Che poi non lo spegne subito, no.
Perché va sempre così: lo estrae dalla borsa, impiegandoci quei 30-40 secondi,
con il suono che sale e si impenna, poi corre –corre, insomma, prova tu a
correre a 90 anni o giù di lì- verso l’uscita mentre ormai qualcuno sta
sostituendo il candelabro con la palla a specchio e già qualche nostalgico ha
estratto l’accendino per tenerlo sollevato e accesso , finché il tutto si
quieta.
Mi sa che hanno messo giù.
Ora, dico io, stizzito confesso e subito dopo penitente, se
proprio è questione di vita o di morte tenere il cellulare accesso in quella
mezz’ora scarsa che dura una S.Messa feriale, puoi chieder a qualche bisnipote
di farti vedere come si mette il silenziatore?
Poi, l’aria vibra, deve essere l’angelo custode che mi
rimprovera perché ho pensato tutto questo mentre il sacerdote aveva finalmente
raggiunto la consacrazione che io ho perso seguendo il filo dell’irritazione.
Per cui alla fine chi è che è stato meno attento al Signore
che arriva sull’altare?
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