È tutto lì. In quell’attrezzo di 20 x 30 cm circa. Con uno
schermo che sembra inoffensivo e la capacità di dispiegarti il mondo in tutte
le direzioni: dall’intimità dei viaggi nella cultura e nella lettura, a il brio
di una partita a Ruzzle, dall’interazione sui social media, alla tranquillità
di un film visto come dentro ad una bolla. Tutto lì.
La vanità umana.
Rappresentata da quell’abisso che ci imprigiona e ci
stritola: la pretesa di dominare la natura, e oggi in particolare il tempo.
Per leggere e vedere tutto quello che ho accumulato dentro
l’iPad, ammeso che lo usi privo di collegamento al mondo e quindi senza
interagire con altri e alcun modo, per leggere tutti i libri che ho downloadato
a prezzi stracciati, forse gratis, i pdf stampati da pagine web, gli e-book
gratuiti professionali, gli articoli dei blog, i discorsi del Papa, le lettere
del Prelato, gli allegati degli amici, per vedere tutti i video archiviati da
YouTube, non mi basterebbero tre vite di quelle intense e distese, come
spalmate sui secoli.
Eppure continuo ad accumulare.
Perché il nostro cuore è spalancato sull’infinito,
sull’eternità, su una dimensione senza fine, come è di fatto il nostro animo,
del quale le sponde non si trovano mai che non c’è mai un muro che ti impedisce
di esercitare quell’umile esercizio di scandagliarti per correggerti.
E questo accumulare tesori in granai che la notte potrebbe
spazzare via, è così umano e così dannatamente diabolico, che solo la
misericordia di Dio riesce a renderlo santo e angelico.
Se sai affidarti.
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