Messa di Sant’Ambrogio dell’alba, beh insomma quasi. 8.30.
Per noi a Milano è giorno speciale. Anche perché è festa. Anche. Poi siamo
dentro alla novena dell’Immacolata.
Stiamo in un banco da soli, di lato, Franca ed io.
Infreddoliti. Io di più. Sto immerso nell’atmosfera del Natale, ci provo, a
capirne il senso, a renderlo azione.
Piomba accanto a noi improvvisamente un ragazzo, alto,
inquietante. Si capisce che non è equilibrato, probabilmente un handicap
mentale, non esasperato, ma sufficiente da indurti quella paura che non ha
radici se non nella diffidenza.
E puzza. Acre. Unto. Greve. Giro la testa. Ci provo.
E prendo uno schiaffo. Ma come? Tutti i proclami. I
fioretti. Le promesse. E qui, proprio qui mi viene offerta la possibilità di
mettermi alla prova, di sconfiggere i mio egoismo, la mia presunzione, con un
solo gesto, neppure eroico –stare. E sorridere- e io giro la testa? Cerco una
via di fuga? Cerco una scappatoia? Che figuraccia!
Allora mi sforzo di dargli la mano e sorridere allo scambio
della pace. Guardarlo ogni tanto, domare i pensieri. E poi, alla comunione,
rifugiarmi in un altro banco, più vicino all’uscita, davanti alla Madonna. Per
chiedere perdono delle mie debolezze, delle mie diserzioni.
Con la speranza che di quel poco, quel soldino simile
all’offerta della vedova, Lui ci possa fare grandi cose.
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