Il cammino è incontri. Sulla strada ti mescoli. Non era così
affollato il sentiero durante il nostro andare, ma neanche deserto. Abbiamo incontrato un po’ di persone e,
forse per una magia, solo di due conosciamo i nomi. Come se fosse più
importante capire che cosa rappresentassero o forse per serbarli sempre
incollati su quegli sfondi, come a garantire una vicinanza al ricordo più che
al presente. O ancora perché conoscere il nome è conoscere l’anima e questo ci
stimola ad andare oltre ai pochi passi fatti insieme,ci ammonisce a cercare di
essere davvero vicini alle persone così da guadagnarsi l’onore di conoscere il
loro nome.
Appartengono a due famiglie gli incontri e le persone: chi
viaggia come te e chi sta ai bordi della strada per offrirti sostegno e aiuto.
Parliamo dei primi oggi, e credo anche in un’altra puntata
almeno, e di che cosa ci hanno lasciato.
La prima persona che abbiamo incontrato e che ci ha spiegato
che cosa voglia dire la cordialità è una signora di Lecco che abbiamo trovato
ad un caravan-bar appena sotto il colle delle Antenne, a poco meno di metà
della tappa tra Rabanal e Molinaseca, la nostra prima.
Era alla seconda esperienza, aveva ripreso il cammino da
prima di Leon, dove s’era fermata l’anno precedente e camminava già da dodici
giorni e ne prevedeva almeno altrettanti per arrivare (e un po’ la domanda: ma
che lavoro fanno? ti viene, perché noi a strappare dieci giorni tra Pasqua e
ponti abbiamo fatto una fatica e ora tocca star su la notte per recuperare, e
lo si fa con piacere…). Aveva i piedi devastati dalle vesciche, ci ha
raccontato che la sera prima la signora dell’albergue gliele aveva curate e
pulite -e come lo sanno fare
loro non lo sa fare nessuno! diceva- e che per questo poteva continuare. Ci ha
insegnato la tenacia, la forza della volontà: si va comunque.
In quel medesimo punto si son fermate tre signore anziane,
francesi, per prendere un succo e ripartire: passo corto, zaino leggero, sorriso
aperto. Non c’è età per il Cammino: accoglie tutti e a tutti dà una
possibilità.
Come alla signora canadese, di Toronto, claudicante, molto
anziana, un po’ gobba, piena di voglia di chiacchierare. Ci racconta che viene
sul Cammino da 11 anni, non riesce a fare più di 7-8 chilometri alla volta,
massimo dieci se si sente bene. Per questo parte da Leon, dove riesce a trovare
alloggi alla giusta distanza. Conosce benissimo tutti i posti di ristoro e si
preoccupa di dove dormiremo nelle giornate successive. Dice che il cammino la
rassicura. Che coraggio e che voglia di superare tutte le difficoltà. Una
volontà che batte età e il corpo stesso e si ritaglia soluzioni che possono
essere sfide da vincere. Alla faccia della voglia di lamentarsi e piangersi addosso.
Nel medesimo locale, l’Aira do camino di Rosa (ne parleremo
diffusamente), incontriamo un aitante cinquantenne di Muggiò. Asciutto, deciso,
ruvido. Sono in cassa integrazione, ci dice, invece di star a casa a far niente
faccio il Camino mi son detto e son partito. Il gruppo iniziale l’ho seminato
subito dopo Roncisvalle, troppo lenti, ma mi sono aggregato a questi ragazzi
per strada. Camminiamo insieme da un po’. Ecco uno che sa sconfiggere le
difficoltà, che non si crogiola nei rimpianti e nella disperazione, che investe
in se stesso per darsi speranza e darla agli altri.
In senso inverso incrociamo –nel racconto di altri compagni
di viaggio di cui parlerò più avanti- una coppia anziana, sui settanta ci
raccontano, che sta tornando indietro dopo essere arrivati a Santiago e
Finisterrae. Fino a casa. A
Vienna. A piedi. Sei mesi. Per tornare. Con calma.
Perché a casa devi tornare e l’importante è capire come ci
torni e come sei cambiato tu.
Ecco qui tutte
le tappe fino ad ora pubblicate
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