LaCroce 2 dicembre 2015
Farenheit 451
racconta un mondo che ripugna a tutti. Insomma non ci piace un futuro senza
cultura. Senza libri. Un mondo appiattito e dominato dalla televisione, che
quando Bradbury scrisse il romanzo, era l’emblema del Grande Fratello ovvero del controllo del pensiero (va bene essere
visionari, ma ad Internet l’autore dell’Illinois proprio non pensava).
Non c’è qualcuno che non provi sgomento e rifiuto per questo
mondo stretto nelle morse del potere.
Eppure è proprio lì che ci stanno conducendo esattamente
coloro che sdegnosamente rifiutano un futuro dominato dalla tirannia del
pensiero.
Perché alla radice del mondo di Farenheit 451 c’è la
politically correctness. Ma va? Riprendiamo un brano forse dimenticato che dipinge,
con crudele spettacolarità, la nostra epoca: "La vita diviene una cosa immediata, diretta, il posto è quello che
conta, in ufficio o in fabbrica, il piacere si annida ovunque dopo le ore
lavorative. <...> La vita diviene così un'immensa cicalata senza
costrutto, tutto diviene un'interiezione sonora e vuota. <...> Tutti sono
sempre più impazienti, più agitati e irrequieti. Le autostrade e le strade di
ogni genere sono affollate di gente che va un po' da per tutto, ovunque, ed è
come se non andasse in nessun posto. <...> Consideriamo ora le minoranze
in seno alla nostra civiltà. Più numerosa la popolazione, maggiori le
minoranza. Non pestate i piedi ai cinofili, ai maniaci dei gatti, ai medici,
agli avvocati, ai mercanti, ai pezzi grossi, ai mormoni, ai battisti, unitarii,
cinesi della seconda generazione, oriundi svedesi, italiani, tedeschi, nativi
del Texas, brooklyniani, irlandesi, oriundi dell'Oregon o del Messico.
<...> La gente di colore non ama Little Black Sambo. Diamolo alle fiamme.
Qualcuno ha scritto un libro sul tabacco e il cancro ai polmoni? I fabbricanti
di sigarette e i fumatori piangono? Alle fiamme il libro! Serenità. Pace. I
funerali sono dolorosi e pagani? Annulliamo anche i riti funebri». "Noi dobbiamo essere tutti uguali. Non è che ognuno nasca libero e
uguale, come dice la Costituzione, ma ognuno viene fatto uguale. Ogni essere umano a immagine e
somiglianza di ogni altro".
Drammaticamente attuale non vi pare?.
Guardiamo ad alcuni fatti della settimana, per dare
profondità a questo scenario: Monica Ricci Sargentini, giornalista del Corriere
della Sera di elevatissima onestà intellettuale, pubblica su la 27esimaora,
rubrica del CorSera online, un articolo riportando il parere di movimenti
femministi a proposito dell’utero in affitto che condannano questa pratica di
abuso della donna. Viene denunciata all’UNAR per omofobia. Se fosse in vigore
la legge Scalfarotto sarebbe passibile di carcere. Numerose giornaliste
intervengono a sostengo della collega: in un articolo apparso su Lezpop.it
tutte vengono bollate con l’etichetta di omofobe.
Non basta: si moltiplicano in Italia le iniziative di
inappropriati dirigenti scolastici che vietano canti, presepi, manifestazioni
natalizie che si rifacciano al senso stesso della festa: la nascita di Gesù.
Dacia Maraini, una di quelle firme alle quali non possono
dire di no i quotidiani radical chic anche se vorrebbero farlo, blatera di un
“savio e civile relativismo” che sarebbe foriero di una “umana e tollerante
convivenza” ovviamente da contrapporre alla “fedeltà ad un Dio antico,
dispotico e fermo nel tempo”: parla di Islam ma pensa, si capisce, anche al
cristianesimo.
Il laicismo si guarda allo specchio e pretende che
l’equidistanza, anzi l’equivicinanza come ebbe a dire una volta D’Alema, sia appunto
l’annullamento di ogni valore, la distruzione sistematica di radici culturali,
l’annichilimento della regione e della realtà a favore di un piattume che non
può reggersi in piedi, perché il vuoto che lascia è subito riempito dal più
forte. Che, fregandosene bellamente della spocchiosa tolleranza, spedisce i
suoi panzer –o terroristi- a conquistare i territori privati delle difese,
svuotati dall’interno.
A margine osservo come questo fenomeno succeda sempre, tutte
le volte che si pretenda di sostituire muri con ponti in modo arbitrario. Se
infatti è bene andare incontro, movimento che produce vita, è un errore grave
farlo iniziando dalla distruzione dei propri muri, costruiti non a difesa ma
per definizione, non per impedire l’uscita ma per descrivere il cuore.
Ogni volta che si presuma che per andare dall’altro bisogna
nascondere, quando non rimuovere, ciò che si è –paradossalmente lo afferma
anche Michele Serra dopo che lo ha gridato ai quattro venti Matteo Renzi,
interpretando un sentire comune (altrimenti non si sarebbe esposto)- si finisce
per farsi conquistare non dall’altro, ma dal nemico.
Nessuno può essere favorevole alla guerra, ma se il tuo
nemico ti attacca è bene difendersi come si deve.
Cosa fare per sconfiggere questo cancro del pensiero, che
attacca la lingua per attaccare i valori?
Iniziare da noi, perché la politically correctness ha radici
nel nostro egoismo. Lo afferma magistralmente Bradbury, lo abbiamo sentito: Tutti sono
sempre più impazienti, più agitati e irrequieti.
Quando iniziamo a ragionare partendo dal nostro ombelico,
quando è il nostro punto di vista quello che determina la realtà, allora tutto
si sfarina ed esplode in una nuvola di silenzio. Finisce l’eco stessa del
pensiero.
Non posso più usare le parole perché qualcuno si offende:
pensiamo all’inquietante reato di georazzismo per cui gli sfottò locali sono
denunciati come crimini contro i localismi. Il che vuol dire che eccelsi esempi
di ironia, come lo striscione dei tifosi viola “voi comaschi noi co’ le
femmine” oggi sarebbe considerati doppio reato: lariofobia e omofobia. Ma lo
stesso Dante Alighieri, a cui si devono epiche invettive (ahi Pisa vituperio
delle genti!) oggi sarebbe denunciato alla UNAR.
Oggi non si possono più fare iperboli o parabole, non si può
più giocare sulla violenza di alcune espressione, le barzellette stesse sono
considerate con sospetto perché tutto è sempre incline ad offendere qualcuno.
Che se la prende.
Navigando nei social capita così di incrociare insegnati,
genitori, professionisti pronti a caricare a testa bassa perché, partendo dalla
propria circostanziata realtà, si offendo se qualcuno parla male del mondo
dell’istruzione, delle Poste, dei portatori di qualche patologia (guai ad
utilizzare termini come autismo, dislessia, favismo, ipertiroidismo,
claudicanza come metafore di situazioni complesse!), del lavoro, ecco che
scendono in campo per difendere il mondo guardando solo la propria cucina e
affermando che poiché loro, da loro, intorno a loro, quello non accade, allora
non può accadere!
In palese contraddizione logica, negano la possibilità di
generalizzare generalizzando loro ciò che osservano o praticano.
La battaglia contro la politicaly correctness, che è la
strada per distruggere i valori, si fa affermando la propria debolezza e
credendo nell’auto-ironia. Un mondo che non sa ridere di sé è destinato al
suicidio.
Solo offrendo il petto alle critiche, invece che chiuderci
nella difesa dall’ultima inventata qualcosofobia, riusciremo a difendere i
valori sulle mura lontane dal cuore. Possiamo fare qualche cosa di concreto
rinunciando a guardarci l’ombelico e a pensare di essere il mondo. Del resto è
ciò che una società senza padri, colui che appunto afferma che il mondo non sei
tu, fatica a fare.
Sono convinto che se non si ricomincia da qui, dal gusto
della contesa verbale onesta e sincera, dal gusto dell’iperbole e della
violenza del ragionamento, violenza intesa come forza capace di strappare la
maschera e liberare la verità che oggi viene sepolta dalla correttezza politica
che è solo ideologia, senza questa forza che strappa l’eccesso per rivelare la
vera forma nascosta, finiremo preda dell’ISIS del ragionamento, dei terroristi
del piacere, capaci di renderci schiavi in nome della libertà, quella dei loro
vizi, che alla fine, deridendoli, li metterà in catene e li getterà –ci
getterà?- nello stagno di zolfo e fiamme.
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