Prossimo post giovedì 2 dicembre
C’è
una categoria di professionisti che affascina l’uomo più di ogni altra. Perché
ci tocca dentro, anzi sopra per la verità, ma è legato a noi più di un
servizio, è una carezza, un rifugio sicuro, una valvola di sfogo.
È
il luogo dove puoi andare sicuro di trovare comprensione, di trovare qualcuno
che sa come farti rilassare, e comprenderti e ascoltarti e raccontare dicendo
quello che vuoi sentire.
Con
una dedizione che solo il sacerdote. E, come per questi, è una categoria a
rischio estinzione, che non vogliono più farla questa professione, che costa
fatica e soprattutto spreme umanità.
Perché
l’edicola la cambi, il bar con fatica ma oggi si fa, il panettiere ogni tanto
per provare un pane diverso, ma il barbiere, eh no, il barbiere non si cambia
mai.
Il
vecchio barbiere che ti accoglie nella sua bottega che profuma di brillantina,
con specchi che rimandano la tua immagine a dismisura, che ti avvolge nella sua
musica sobria e pacata, che ti tenta con riviste a volte un po’ al limite, ma
sempre di qua comunque, che ti lava i capelli con acqua tiepida e sa tacere e
parlare e che ti capisce come quasi la tua mamma…
Ho
una profonda stima e rispetto per questi professionisti del capello, operatori
della barba credo si debbano definire oggi.
Io
il mio non lo cambio dal 1972 quando per la prima volta misi piede trepidante,
accompagnato dalla mamma, nel negozio del signor Sante, via Govone 40 o giù di
lì.
L’arredamento
è rimasto uguale, così come il nostro codice di comunicazione: un ragazzino
educato negli anni Settanta dava del lei agli adulti che rispondevano con un
congruo “tu”. E ancora oggi a quarant’anni di distanza io al signor Sante dò
del lei e mi sento salutare con “ciao come stai?”.
Potere
del tempo che sa congelarsi e non fuggire mai.
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