La
memoria dei nomi svapora, ma resta il ricordo di cibi buoni e spettacolari
panorami. Perché alla fine resta quello che conta e i nomi sono lì per volare
via nel vento che spazza l’oceano e risale per giocare con i ciuffi di sterpi
che tengono stretta la roccia perché non ceda alla tentazione e si tuffi in
quel mare che spiega che cosa sia il blu, concorrendo con il cielo in una gara
a stendere i colori più intesi che tu abbia mai visto.
Siamo
a Big Sur, sulla strada che cola giù da Frisco via Monterey e rotola
accarezzando il mare fino a Los Angeles, altro mondo, più modaiolo quanto qui è
rude e intellettuale, di quella scienza applicata che ha generato la Silicon
Valley che qui si nasconde dietro la prima fila di montagne.
La
strada che qui costeggia l’oceano che rugge, ma pacato, quasi per prenderti in
giro, sembra uscita da un film. O forse è il film che c’è entrato dentro e non
ne è più uscito. Sculetta allegra e sbarazzina, decisamente maliziosa mentre ti
invita a percorrere sempre un
miglio in più, e ti ubriaca e alla fine ne
resteresti così prigioniero da non sapere più dove sei né perché ci sei e tutto
svaporerebbe in una follia da eccesso di bellezza. Ecco, deve aver visto una
cosa del genere kant quando gli è venuta ‘st’idea del Sublime ch’è una bellezza
così violenta che non può non condurti a Dio.
Troviamo
la forza di fermarci, e non sapremo mai cosa c’è dietro quella curva che invita
e tenta.
Pranziamo sulla scogliera, vista paradiso. E ci fanno la foto due buffi americani che si mostrano
Ci chiedono di ricambiare il favore. E come te lo dimentichi un ristorante così che ti spalanca il cielo e lo confonde col mare e con l’amore che tutto fa rima. E ti ricorda che la bellezza vera è quella di stare con lei. Ancora e ancora.
Per
forza poi che ti dimentichi del nome del locale!
Nota:
lo so, si dice ruggisce, ma se rugge l’ha usato Foscolo posso usarlo anche io.