Prossimo post domenica 1 aprile
S’io avessi la penna intrisa di cultura, che respirasse
Rostand e Cervantes, che sapesse a memoria il Cantico dei Cantici o la Ballade
des Pendus, quelli per cui le neiges d’antan sono passate così in fretta da
lasciarli devorèes et purries a chiedere ai frères humains
qui apres nous vivez d’intercedere presso la Madonna il perdono di Dio (e, che strani questi
maledetti che poi alla fine si inchinano alla divina maestà…), s’io respirassi
Cecco o Guido e Lapo (no, non quello della Ferrari mimetica) ben altre rime
aspre e chiocce scriverei.
S’io fossi foco, e acqua e vento e tempesta, non so proprio
che farei…
Son uomo di
scienza minore, che assembla molecole dentro impianti fangosi; e sono
espressivo e competitivo. Di quella competizione lucida e che spinge e urge,
non di quella che induce vomito e piagnisteo.
Le mie rime però
al massimo sciacquano i panni in Lambro, che sarà piccolo e un po’ sporco, ma è
quello che rimane sotto Ambrogio, e quivi si ricordano film e canzoni e
sceneggiati –che pochi altri conducono a pari ricordi, associando a collettive
memorie, per l’ingrigire dei capelli assente (e vi sfido a citarami il cast di
La squadra di stoppa, Ciuffettino, I racconti del faro, La famiglia Benvenuti,
I ragazzi di padre Tobia senza googolare si intende)-, s’inerpicano su per le
cime dello sport, che spesso non raggiungono i miei colori per essendo le tinte
del cielo di giorno e di notte, e spanciano sui libri più banali, che di rime e
tocchi hanno punta frequentazione, piuttosto di serial killer e di social
media. Per tacer poi di quanto io attinga da canzoni asciutte di professori e
altri cantautori, rigorosamente oltre i sessanta.
Però di questo so e vo’ cantando, come troubador che d’una
cosa sola rima, di come amor ci prese ai tempi del liceo -galeotta fu la gita e
chi la indisse, da quel giorno insiem noi guardiamo avante- e che ancor’oggi
non c’abbandona; oggi che la canizie mi stampa sull’assolato muro che non ha in
cima cocci di bottiglia ma fiori e luci e di entrambi profumo forte, e un futuro
troppo corto per non avere un secondo tempo.
Che adesso sì che possiamo rispondere alla domanda che
squadri da ogni lato l’animo nostro informe: sappiamo bene ciò che siamo e ciò
che vogliamo, e quanto siamo pronti a lottare per tenere stretto in mano questo
filo che ci allontana, non l’uno dall’altra, piuttosto insieme dalle origini,
ma non dalle radici.
Perché dove trovi quella forza che ti fa credere simile ad
un Dio, anzi di più se possibile, colei che ti siede di fronte e ti guarda e ti
ascolta, se non proprio in Dio stesso? Dove trovi la forza per stirare nel
tempo un amore trascinandone le gioie oltre la collina, sotto il filo spinato,
tra mille battaglie, e pianti e angosce e incomprensioni? Quante volte hai
pensato di rinunciare e lasciargliela lì come fosse un gioco, questa vita
insieme che non è niente, e non è poco? Quante volte t’è venuta voglia di
urlare, sottovoce, lasciatemi così come una cosa posata in un angolo e
dimenticata? Quante volte, guardando indietro con sguardo mesto e pesto, t’è
venuta voglia si richiamare l’ombra di tuo padre, e implorarlo “papà, lasciamo
tutto e andiamo via”, sapendo, come rinchiusi seduti sopra quel treno che il
futuro è già stato e non può cambiare.
Son volati anni corti come giorni, e mani siamo stati sommersi da un mare florido
e vorace che ci ha rubato la certezza. Perché c’è sempre stato un momento in
cui abbiam potuto sederci e ricordare e deridere e scacciare e guardare avanti.
Se qualche piacere c'è per un uomo che ricorda i precedenti dolori è nel
pensare che ormai sono passati e che nessuna tempesta, fosse anche tre miglia
dopo Capo Horn, potrà mai far girare tre volte e la prora ire in giù, che
quest’amore è forte come la morte tenace come gli inferi la nostra passione,
che io sono come sigillo sul suo braccio, e poiché è fondato in Dio, le grandi
acque non lo potranno travolgere mai. Così con lieve cuore e lieve mano,
potremo la vita prendere e lasciare. E’ una (Sua) promessa. Che non tradisce mai. Perché tutto
concorre al bene. A saperlo vedere ed estarre dalle parole leggere che per noi
Lui abbandona come un gioco per le strade, e le righe, del mondo.