Le lanterne salivano verso le nuvole, e ad un certo punto mi
sono apparse disposte come l’Orsa Maggiore e allora ho capito che lì tutto
finiva e tutto ricominciava.
Era quasi notte. Franca ed io guardavamo dalla terrazza gli
amici degli sposi che sul pratone davanti casa li festeggiavano: dopo aver
sparato fuochi d’artificio che avevano indotto tutte le case ad affacciarsi e a
gridare “viva gli sposi” il congedo è stato affidato a queste luci volanti, che
si sono alzate lentamente verso l’alto, rincorrendosi, aspettandosi, spalmate
prima a raggiera e poi come a giocare con chi non riusciva a staccare lo
sguardo, hanno iniziato ad assumere forme diverse, spegnendo man mano le
dimensioni senza mai estinguere la loro luce, che si faceva solo più minuta e
forte.
Finché, un attimo prima di nascondersi alla nostro vista,
c’hanno salutato dipingendo la
costellazione più famosa solo per noi, sotto le nuvole, come saluto.
E lì ho capito. Che non era un gioco. Un bel gioco. Che la
vita sarebbe stata diversa.
Come un solco secco sulla spiaggia, come il mare che lo
attraversa ma è diverso.
Perché questa è la vita. Solo che te ne dimentichi. Non so
se lo fai per difenderti, perché portare il carico emotivo di tutto è troppo,
in tutti i sensi: troppa gioia e troppo dolore, troppo pesante e troppo
leggero, troppo profondo e troppo lieve.
Troppo.
Perché anche io l’ho presa e portata via la loro bambina,
per farne mia moglie. E quella sera che ci siamo trovati soli a casa nostra, e
allora era veramente nostra non come dicevamo prima, arredandola e sostando gli
oggetti, abbiamo solo pensato alla vita che veniva.
E adesso che invece sono nell’altra casa, quella dove la
stanza della figlia resta vuota, resta immobile e muta, vorrei pensare al
passato.
Sarei codardo e ingiusto, sarei crudele e egoista. Per cui
per una volta è la ragione che sommerge le emozioni, che ci sono, ruggiscono,
ma dentro la gabbia, sovrastate da una fermezza che non mi conoscevo, e che ho
allevato in seno senza neanche esserne consapevole e dietro la quale oggi mi
rifugio, mi nascondo.
L’auguro a tutti di provare una gioia così, perché spezza le
vene delle mani, mescola il sangue con il sudore. E te ne rimane di sorriso da
calare, come un poker servito, come una ferita che ti restituisce la vita.
Perché non sottrae mai, piuttosto arricchisce. Ti fa scoprire cose che non
conoscevi, così io figlio unico ho capito solo adesso che cosa è l’amore dei
fratelli, ed è di una felicità che sbalordisce e intimorisce, perché è così
grande che non la puoi capire, solo intuire. Resta solo da scuotere la cenere dal cuore, perché quella c’è
sempre, è l’egoismo che impregna ogni cellula che bruciando la lascia
depositarsi e va tolta subito perché non intorpidisca e ricacci nella nebbia.
Per fortuna non sono solo in questo compito.