E sì, sopra la testa c’ha sempre qualche cosa che pende.
Magari fosse la spada di Damocle, il damerino invidioso del tiranno Dionigi di
Siracusa che comprende in modo drammatico l’altra faccia della medaglia del potere.
Magari.
Perché una spada la puoi evitare.
Un giudizio invece no.
E sopra la nostra testa, che tu lo sappia oppure no, o
peggio: finga di non saperlo, c’è la spada a doppia lama di un verdetto
ineludibile. Il bello –o il brutto, vedi tu- è che dipende da te.
Già perché su quella lama sta scritta una promessa –a me
pare, talvolta, più una minaccia- che Gesù quasi di sghembo lascia cadere sul
tavolo: “col giudizio con cui giudicate
sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati“.
Matteo, 7, 2. Sta lì, secco, duro, come inciso sulla pietra.
Pare che ce lo siamo scordati. Io per primo! Mica mi tiro
indietro. Sarebbe come cercare di rompere lo specchio nel quale ti vedi.
Io per primo. Lo ribadisco così nessuno può puntare il ditino.
C’è che siamo tutti intransigenti e inflessibili coi peccati
degli altri.
Finisce il sinodo, e tutti –dai, diciamo molti perché così
un po’ di spazio di indulgenza me lo creo- iniziano a sparare il loro fuoco di
fila partendo non dal testo ufficiale, ma dalle prime pagine dei giornali.
E sì che ormai molti, LaCroce in prima fila, il giochetto te
l’hanno spiegato: si chiama disinformazione, manipolazione, inganno. È il gioco
in cui il diavolo è maestro, lo dice anche Gesù. Che è l’ingannatore dei suoi
fratelli.
E mi ci caschi tutte le volte?
Che basta un minimo di competenza non dico di teologia, ma
solo di funzionamento della Curia per sapere che l’affermazione “passa la
comunione ai divorziati per un solo voto” contiene più inesattezze che parole.
Dai, te l’ha chiarito anche il Papa che il sinodo è
consultivo e non possiede il potere legislativo, che non cambia le regole,
semmai propone non nuovo dogmi, ma nuovi percorsi pastorali.
E poi basta che vai a leggerti il testo per capire che nulla
di ciò, che sta nel titolo, è in realtà riportato nel documento ufficiale.
Dicono “sì, ma con la vicenda del caso per caso si nega la
regola”. Ah sì? Ma non è ciò che la Chiesa, con i suoi confessori, ha fatto da
sempre? Non è il discernimento che il padre spirituale applica nel valutare la
coscienza? Non è ciò che l’etica spiega quando parla di circostanze? Di piena
avvertenza e deliberato consenso, condizioni previste dal Catechismo §1857: “Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano
tre condizioni: « È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave
e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso »”.
Invece vedi in giro sui social proclami di fuoco: sono
peccatori! Alcuni li scomunicano ipso facto. Altri li vedono bruciare nel
perdurare del peccato che nega la misericordia.
Le conversioni all’Innominato sono rare, il più delle volte
è un cammino lento che accelera solo nella fine e la storia insegna che non
sono i predicatori apocalittici quelli che ottengono più risultati. Il “verrà
un giorno!” di Fra Cristoforo non fa che inasprire don Rodrigo, mica lo getta
tra le braccia del confessore. È la pietà di Lucia che corrode il peccato
dell’Innominato. È la pazienza del
padre che salva il figliol prodigo, non la sua apoditticità.
Ecco, ricordando poi quella spada che penzola sulla mia
testa, quella minaccia di venire giudicato secondo il mio metro, io me ne
starei un pochino più schiscio, più attento, che senza negare la regola
l’attenzione si può prestare, oltre alla preghiera che cannoneggia da lontano.
Che è la mia vita a dirti che sbagli, la mia fatica che produce gioia a
indicarti la strada, non il proclama “o sesso o ostia” che ricorda ahimè più la
battuta “ma quale morte?! Ho detto o Roma o Orte!” che non un comando divino.
Si dice Gesù ha perdonato invitando a non peccare più!
Già, ma non so voi, anche a me capita di dirlo con
convinzione –condizione richiesta per l’assoluzione peraltro- che non lo farò
più. E poi ci ricasco milioni di volte. Magari nel medesimo giorno. Se voi
invece non peccate davvero più, datemi una vostra reliquia da venerare! Siete
già Chiesa Trionfante!
Perché l’equilibrio che siamo chiamati a trovare certe volte
lo vedo difficile come sommare pere alla mele, cosa che, secondo la mia insegnate
delle elementari, era ontologicamente impossibile.
Lo dico in quanto quell’altra frase che mi sta qui, appena
sopra lo stomaco, e mi procura ulcere continue, a me portato per formazione a
privilegiare la regola, la razionalità, la verità, mi impone di farla sì questa
verità, ma nella carità.
E mi scontro con la fatica di fare una miscela con due
liquidi incompatibili, come acqua e olio.
Perché la verità è eterna, immutabile, immodificabile. Sta.
Come la porta dell’inferno “Fecemi la
divina potestate,/ La somma sapïenza e il primo amore/ Dinanzi a me non
fur cose create,/Se non eterne, ed io eterna duro”. Sta. Punto. Non cambia.
E nessuno la vuole cambiare. Non muta una iota.
Invece la carità è personale, è calata dentro la situazione,
dentro all’occasione. Caso per caso. Va amata questa persona che sta qui, a
prescindere, senza pregiudizi.
Anche se è un samaritano.
Anche se è un peccatore pubblico. Anzi. Proprio per questo.
Perché Dio è amore (mico lo dico io, lo dice san Giovanni!).
E come faccio ad applicare criteri eterni a situazioni
puntuali e cangianti?
Qui si gioca tutto.
E per non farvi pensare che la mia spada penda solo dalla
parte del rigorismo, vale la pena ricordare che anche il lato opposto è oggetto
di giudizio spietato: maledetti coloro che svieranno i miei figli e li
indurranno a commettere il male. Anche per loro c’è la condanna.
Quindi la spada diventa filo sul quale camminare, corda tesa
tra due baratri ugualmente terribili.
“Sono uno sventurato!
Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio
per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!” Romani, 7, 24-25
Non c’è altra strada: aiutarci e fidarci.
Di chi? Della Chiesa che conterrà infiniti peccatori, ma
anche anime sante che ne guidano altre.
E in fila dietro al Papa, come indicava un santo che mi sta
molto a cuore, san Josemarìa Escrivà de Balaguer, che non passava per essere un
lassista o un prete “di sinistra” per usare un termine da quotidiano: ad Jesum, cum Petro, per Mariam.
Quindi, se vogliamo stare sereni –no, non in quel senso,
dai, non fate i furbetti- pur stando sotto la spada del giudizio, dobbiamo –lo
credo- sforzarci di lottare tutti i giorni per stare ben attaccati alla Chiesa,
capire dove ci vuole portare, imparare ad amare nella verità (cosa che peraltro
questo quotidiano sta facendo dalla sua nascita e con un coraggio senza
paragoni) e iniziare a comprendere come sia possibile farlo per non rimanere
bruciati dalla nostra intransigenza, o dal nostro lassismo, nel momento in cui
verremo saggiati con fuoco.
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