Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

domenica 30 dicembre 2012

Ne ho viste io di donne



Ne ho incontrate. Parecchie. In rete. Forse qualcuna di persona. Donne forti. Che camminano a testa alta. Da ammirare. Sicure. Convinte. Taglienti anche. Forse troppo qualche volta.
Tirano dritto e segnano la strada. E un po’ la invidi la loro sicurezza.
Poi accelerano, scartano, si confondo. Vengono travolte dal piacere di mostrare questa diversità. Questa certezza. Che sicuramente il mondo maschilista biasima, irride. Perché non le controlla, non le domina.
 E così senza che se ne rendano conto vengono travolte dall’errore che combattono: la banalizzazione del male nella generalizzazione. Tutto diventa ideologico. Dire no è un must. Fa trendy. Fa scalogno, per dirla con Cracco. E annuire, approvare: no, non si può. Non si fa mai.
Così tutto diventa opposizione. La loro affermazione scivola nel contrappunto: mi erigo solo schiacciando gli altri.
Ne ho viste in rete di donne brillanti, ragazze che non vogliono velinizzarsi, che mostrano la loro femminilità nel coraggio, poi sciuparsi nell’ostinazione, barattare il carattere con il livore, intrappolate nel cliché della maledetta che deve a tutti costi ringhiare, offendere, difendere le proprie ideologie da presunte fallacie logiche, dai pregiudizi altri, senza rendersi conto che invece sono loro a finire imprigionate nei pregiudizi.
Una sofferenza vederle così prosciugarsi e rinsecchire, come un fico che non dà più frutti.
Perché fuori dalla rete sono così anche nella vita. E rimangono sole, avvolte nella loro grandezza diventata ormai solamente spocchiosa superbia.
E uomini? Quelli spesso non hanno neppure questo coraggio o questa nobilità.

2 commenti:

  1. Come sempre, la via migliore sta nel mezzo: un colpo alla botte e uno al cerchio, bastone e carota, grinta e dolcezza, durezza e comprensione, forza e vulnerabilità, autorevolezza e tenerezza. La via di mezzo, quella dell'equilibrio, del buon senso, della saggezza, è anche la più difficile.
    Un augurio di speranza per le donne e gli uomini di buona volontà: che riescano a trovare questa via e che possano essere felici.
    Buon 2013!

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    1. ce ne fossero di donne sagge come te!
      Ma poi, sì. Ce ne sono davvero tante, e a vedere bene non è questione di dare un colpo al cerchio e uno alla botte.
      Voi donne siete molto più capaci e sensibili: date i colpi là dove devono andare senza compromessi, ma sempre forti
      e ligie alla verità, anzi di più: al bene di chi amate.
      E non è questa una via di mezzo, ma la via superiore, perché se è vero che la virtù sta in mezzo, non è perché è un compromesso
      ma perché è l'unica via: sono le altre due (i vizi per eccesso e per difetto) a stare di lato e in basso.
      Perché non hanno buona volontà!
      Grazie carissima e buon anno a te e famiglia!

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