Va bene mi sono rotto un dito. Il quinto del piede destro. Alla
radice. Prima falange tecnicamente. Incidente domestico. Ho preso a calci,
involontariamente, lo spigolo della porta finestra.
Ma non è che voglio parlare del mio piede, del mio
zoppicare.
Voglio parlare di teologia. Passando dalla moda.
Che c’entra?
Sono estroso, che è un modo elegante per dire un po’ sballato,
ma dal piede alla teologia? Mica un pippone sul sendo del dolore o della
pazienza?
Ma sai che m’hai fatto venire una idea? Che prima pensavo ad
altro? Ma… no… rientriamo nel seminato.
C’è che il dottore m’ha detto: trenta giorni di moderato
riposo –moderato? Rispetto a che? e perché non modico allora?- e suola di
legno. Di legno? Si: zoccolo duro.
Non ce l’ho. Rimedio coi simil birckenstock trovati
all’ipermercato in offerta. Che siamo sempre in spending review e non vorrei
dovermi rompere un altro dito per giustificare e ammortizzare l’investimento
nei dr. School (si scrive così no?).
Però io devo andare a lavorare. Giacca e cravatta. Anche
grisaglia o gessato. E il mocassino fa male. Per tacere della scarpa con la
para alta tre dita che sì è rigida ma è come girare con gli scarponi da sci.
Quindi si impone calzino scuro e sandalone.
Orrore, grida il mondo! Orrore grida FB! Orrore grida
l’omini che in TV detta la moda vestendo completi color trasudeciuck o spezzati
giacca scozzese-pantalone arancione.
Orrore dicono tutti: non è questione di gusti, il sandalo
con il calzino è ontologicamente orrendo. Orrendo in sé.
Affascinante.
Quindi vuol dire che esiste qualche cosa che è brutto in sé?
Ne consegue che esiste una verità che ci precede. Il calzino
con il sandalo non è una questione di gusti, mi dicono tutti, non è la risposta
ad una necessità. È una cosa brutta senza sconti. È brutta perché è.
Ne traggo conseguenze a valanga: allora posso ricercare
questa essenza della bellezza e emettere giudizi, non personali e quindi
condannabili, ma assoluti e quindi innocenti (com’è innocente l’arbitro che
fischia il rigore per un evidente mani in area: rigore è quando arbitro
fischia! O quando fischia Merkel, ma quello è tutto un altro rigore, sempre una
penalità, ma di altra natura).
Allora se il mio calzino è brutto in sé, in quando esiste
una bruttezza in sé e una bellezza in sé, posso affermare che non tutte le
opinioni sono valide. Neppure nella moda. Che se ti vesti con la scollatura
ombelicale poi qualcuno ti può far notare che oltre che inopportuno è pure
brutto.
Che se mi metti la giacca verde pisello non fai tendenza
solo perché sei famoso, fai comunque ridere.
Se il calzino è orrendo a prescindere, allora c’è un
prescindere. C’è un bene, c’è un male. C’è una verità. Sull’uomo oltre che sul
calzino.
E allora finisce che rompersi un dito è felix culpa. Perché
ti fa riscoprire il senso della vita.
Accidenti Paolo, mitico scritto e grande penna.
RispondiEliminaE anzi, mi viene da contraddire il datto "καλὸς κἀγαθός". Dirò di più, voglio solidarizzare con il povero calzino, che financo i Francescani ormai disdegnano. IO SONO UN CALZINO.
Salutoni a te Paolo.
Ave atque vale.
Valeria Galbusera