Le parole contengono
dentro una saggezza che rivela molto della nostra vita e che può dare fastidio…
Le parole parlano piano, sussurrano, gridano e dicono il senso: sono come
cartelli che puntano più il là, per mostrare che c’è vita oltre il suono ed è
una vita che va compresa per farla propria….Le parole uniscono se si utilizzano
nel medesimo modo, con condivisa pienezza: perché se le parole perdono senso
diventa impossibile ragionare….. Se dunque vuoi combattere il senso, impedendo
il dialogo sulla realtà, è le parole che devi attaccare per prime… oggi la
guerra è differente: ci stanno rubando il significato delle parole e così
finisce che non ci si capisce più. Non si può più discutere. Soprattutto non si
capisce più la realtà. Succede ogni volta che l’uomo vuol farsi Dio, come a
Babele. …. Questa deprivazione di senso, questa tempesta che impedisce il
dialogo, perché ognuno applica la propria interpretazione del termine, questa
manipolazione che assonna le coscienze, è responsabile della separazione dal
vero: quando si inizia a parlare si finisce per litigare per ore sul senso del
vocabolo e quando alla fine trovi una quadra ti sei scordato del punto di
partenza e di dove volevi arrivare…… Solidità e senso. La possibilità di
ragionare, che forse è il vero obiettivo di questa desertificazione, perché un
uomo in balia dell’attimo fuggente è preda di chi tesse alle sue spalle un film
noir, in cui l’incauto ottimista, o idiota se preferite visto che il naufragio
è assicurato, finisce per essere al contempo assassino e vittima….. Questo
pensare per momenti e soprattutto per frasi fatte, non solo nega coerenza e
logica, ma crea mostri comportamentali, persone sedotte e derise dai luoghi
comuni che brandiscono senza nemmeno capire ciò che dicono….. Il punto è che
per capire il dono che sta dentro bisogna di nuovo far sforzo di umiltà e
tornare a comprendere che la natura (stop!) ci precede e ci insegna…….
“Non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere
è come disporre del tempo che ci è dato”. Parole secche, dure, illuminanti.
Pronunciate nel buio. Nelle profondità di Moria, da Gandalf che redarguisce un
Frodo-che-sono-io il quale si lamenta: tempi duri questi!
Ci toccano, sono anni interessanti, che per un giapponese è
una maledizione da augurare con il sorriso: possa tu vivere in anni
interessanti.
E
ci tocca combattere, su ogni pallone, come la finale della Coppa, come il
mediano di Ligabue, anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali. Che per
noi vuol dire contribuire a quello che manca ai patimenti di Cristo. Che non
manca niente sia chiaro, ma che vuol dire che ci dobbiamo mettere il sudore,
sennò che ci stiamo a fare, che questo mondo lo dobbiamo custodire e coltivare.
Cultura
deriva da coltivare, e di parole si alimenta la cultura e qui di parole
parliamo, per sguainare le spade della logica e della coerenza. Perché il
linguaggio è creazione, è co-creazione, che parte da una materia precisa: la
verità, la realtà. Lo spiega bene Tolkien: “L'invenzione di linguaggi è il
fondamento. Le 'storie' sono state create piuttosto per fornire un mondo ai
linguaggi, che non il contrario. A me viene prima in mente un nome, e la storia
in seguito. Per me è un esteso saggio di estetica linguistica, come dico
talvolta alle persone che mi chiedono 'di cosa parla?”.
Le
parole rispecchiano il mondo, lo rivelano, un po’ l’arte di Michelangelo che
estrae dal marmo la sua scultura dicendo che in realtà l’ha solo rivelata, che
c’era già.
La
parola questo dovrebbe fare: dare consistenza a ciò che già c’è, che ha senso,
che vuole raccontarcelo.
Ma
le parole possono essere pericolose, lo dice sempre Tolkien: “la costruzione
del vostro linguaggio genererà una mitologia”. E lo sappiamo bene che
l’antilingua questo vuole fare: trasformare il mondo a propria misura, per
modificare la realtà a colpi di parole. Ah, tra l’altro fobia vuol dire paura,
non odio: aracnofocia, agorafobia, claustrofobia sono terrori, non livore
contro le piazze, i ragni, gli sgabuzzini. La rabbia richiederebbe il prefisso
miso- ma è più faticoso e meno marketing.
Noi invece vogliamo raccontare la storia che dentro le
parole vive. Perché, come dice José Ortega y Gasset: “la parola è un sacramento
da amministrare con delicatezza”.
Ho
in mente una bella immagine tratta da un gran bel film, Questioni di cuore, con
Antonio Albanese e Kim Rossi Steward: c’è Albanese che gioca con il figlio di
KRS. Lui fa lo sceneggiatore e insegna al piccolo come si fa a trarre ispirazioni
dalla banalità quotidiana. Si comincia da l guardarsi in giro e osservare le
persone e farsi domande: perché quella donna porta occhiali rossi? E quel
vecchio continua a togliersi il cappello e ad agitarlo? Perché il bambino tiene
gli occhi bassi e l’uomo parla sommesso al cellulare? Questa è la domanda: la
risposta è la storia.
Bella
quest’idea di leggere dal reale, perché la storia nasce dal reale.
Ci vuole discernimento per uscirne vivi: già che cosa vuol
dire discernimento?
Discernimento
Selezionare con cura, il che implica che ci sia un metro
secondo il quale valutare e mettere da parte. Allora implica che ci sia una
regola che vale per tutti e che io debba sforzarmi di conoscerla studiando la
verità.
Regole
Se ne vedono sempre meno, godono di cattiva fama, persino
quella del fuorigioco che, dicono, le donne non capiranno mai. Come i limiti se
ne percepisce il loro potere escludente, e in una società che vuole tutto
questo è un torto grave. In realtà più che guardare fuori, bisogna guardare dentro:
regolare vuol dire mettere ordine per arrivare ad uno scopo. Come si potrebbe
gustare uno sport senza regole?
Ordine
Una volta lo detestavano solo gli adolescenti, che a quello
della stanza associavano quello imposto nella vita dai genitori. Oggi siccome
l’adolescenza non è più una stagione di passaggio, ma uno stato dell’animo,
oltre che del fisico –almeno così molti sperano- l’ordine è detestato da molti
a priori. Lo si identifica con tutto ciò che pone limiti alle mie voglie e gli
si preferisce l’opposto ritenendolo alleato della creatività, che poi è un modo
con il quale creare un alibi alla perversione. Così come il diritto, spesso
appunto usato in modo sghembo come copertura alla proprio passioni oblique.
In realtà il disordine è ordine senza fantasia, e
soprattutto senza scopo. Perché l’ordine è ciò che mette in riga verso la
felicità.
Felicità
Ecco appunto, dovrebbe essere l’adesione tra atto e potenza,
cioè la tensione verso ciò che si è per natura, per nascita. Invece la si
confonde con divertimento, che –dice la parola stessa- è ciò che allontana,
distrae dal fine vero. E qui Berlicche potrebbe farci una puntata per le sue
opere di crudeltà spirituale.
Scopo
No, non è la prima persona singolare, anche se ogni volta
che la pronuncio questa modalità declinativa mi fischia nelle orecchie –o
quelli sono gli acufeni e in realtà mi fischia la coscienza?- perché la leggi
pressoché ovunque. Scopo2. Fa rima invece con finalità e quindi
felicità. Impone però, a differenza del verbo, una legge a me superiore che
questo obiettivo mi indica e suggerisce, per la via felicità (vedi) come un
traguardo, dove mi attende un premio. Oggi il sostantivo viene negato perché a
differenza del verbo impone fatica e lungimiranza, e mal si coniuga con
effimerità e volatilità.
Esempio
Sempre letterario, sempre buttato contro, mai indossato.
L’esempio vale soprattutto se vissuto e proposto, con sforzo, cadute,
risurrezioni, lotte, sorrisi. Oggi diventa specchio per sostenere le proprie
idee, specie se riflette cosa fa la natura, perché nel creato trovi sempre
qualche cosa che sostenga la tua idea, quale che sia.
Fede
Credere perché hai un testimone che garantisce. Ce l’abbiamo
tutti, ma lo neghiamo. Senza fede, o fiducia, come faremmo a credere a Giulio
Cesare, il neutrino, l’equazione di Fourier o le previsioni del tempo? Però
sono tutte cose che sfiorano la nostra vita, se qualcosa, o Qualcuno la tocca,
specie i vizi, allora si evoca il dubbio sistematico, che sembra caratterizzi
la condizione dell’adulto. E son perplesso.
Accogliere
Spesso lo si confonde con approvare mentre al massimo è
sinonimo di accettare. Ti amo quindi ti accolgo così come sei, ma non approvo
necessariamente tutto ciò che fai. Molti non lo capiscono.
Tolleranza
Sbandierata come massima espressione dell’amore in realtà è
una forma radical chic, molto snob, di superiorità: io tollero con eleganza chi
sopporto a fatica, è di moda. Io non tollero, io amo, che sono due cose
radicalmente diverse, e questo è chic. Quelle alimentari sono infatti intolleranze,
non odio, ne deriva che al massimo posso tollerare una fragola, ma una persona
la devo abbracciare.
Autorità
E qui casca l’asino. O meglio l’italiano che questa cosa qui
proprio, storicamente, non la puà tollerare (vedi). Sarà perché l’autorità invece
che essere autorevole è spesso stata autoritaria, e così facendo ha trascinato
nel lato oscuro anche una virtù –ebbene sì, è una virtù- che dovrebbe essere un
servizio: aiutare a crescere indicando la strada e correggendo gli sbandamenti.
Certo, si presta a rivestirsi di “lei non sa chi sono io”, ma questo non è mica
colta della parola, quanto dell’abusivo.
Follia
La vedo crescente, in molte sue declinazioni, spesso confusa
con la bugia. In realtà mi sto facendo l'idea che poiché ormai ci crediamo creatori
della verità, creiamo a nostro modo la realtà come vogliamo finendo per credere
vere le nostre fantasia. Intendo dire che siamo stati così indottrinati sulla
possibilità di essere dio che ne abbiamo assunto il potere deliberativo. Questa
ondata di menzogne che ci avvolge mi pare più essere una patologia della
realtà, un volere che le cose siano così perché così io sono quello che sono,
non sbaglio: io ho ragione. Come
le ideologie che sono pretese di realtà. Se la realtà non si adegua, allora la
cambio, me la invento, ma è vera, è mia. È un segnale terrificante di
disperazione e implosione del mondo. Sguainiamo le spade!
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