I precedenti articoli si trovano qui
I media e le parole (versione ufficiale)
Il furto delle parole (extended version)
Le parole tra noi leggere
And then there were three
Ricomincio da quattro
Due sono le categorie di scultori di parole che amo
particolarmente: gli esploratori e i giocolieri.
I primi sono capaci di leggere nella realtà le parole
nascoste dalla creazione e non ancora rivelate, le frasi impigliate nelle
situazioni e nelle immagini, che occhieggiano trattenute dalla grammatica e
dalla fantasia sospinte, e le
sanno dichiarare e risplendere come un croco.
I secondi le intrecciano con così sublime agilità da tessere
storie e umorismo, di quello sagace che castiga i costumi, che illumina a
giorno le tenebre della noia, che confessano deridendo se stessi innanzitutto.
Perché a me l’ironia piace, e la sintesi pure. E mi sono
scelto due amanti difficili, di quelle che sorridono poco e poco si mescolano
con gli altri, perché sdegnano la battuta greve e unta, e il discorso che tenta
di confondere con la quantità, come un vino d’osteriaccia.
Adoro le sfide che Six Words Memories lancia con frequenza
assordante, invitando a condensare una vita, un sogno, un amore in sei sole
parole. Ci provai, ed in inglese, e ebbi l’onore di finire in prima pagina, per
i famosi 15 minuti di celebrità nel raccontare come vita e amore per me erano
così fortemente intessuti da non essere più separabili: teen love: profound
passion. Still married. Che in italiano suona così, con durezza imposta dal
sestino: amore liceale, passione profonda. Ancora sposati.
E a ben vedere non è così male, la vita non la frase, anche
quella d’accordo, ma le parole che scrivi nel vento o sull’acqua non possono
essere specchio della vita che pure scivola e si dissolve, ma senza sfarinarsi
se è ben piantata.
Perché è grazie alla Parola che il mondo è stato creato, e
le parole devono aiutarci a rivelarlo fin nei minimi particolari per gustarlo e
grazie a questo piacere risalire al Creatore, come può fare un cielo stellato,
la cima di un monte, l’alto mare, una scogliera a cascata, il sorriso di chi
ami e molto di più.
Amo quindi coloro che sanno recuperare queste parole, capaci
di dischiudere la verità, e ce le donano, dentro una poesia il più delle volte,
ma non solo: perché tra gli esploratori, quelli che spremono il senso con
novità di sillabe, io accanto a Dante ce li metterei Beppe Viola e Gianni Brera
che quanto a smodellatori di aggettivi stanno bene insieme ai poeti laureati,
non però in botanica, ma nella limonaia dove la solarità del giallo scroscia in
petto e dà fiato alle trombe.
Se solo riflettessimo sul fatto che una intrigante numero di
espressioni che oggi ci suonano così familiari da apparire quasi sdrucite trovano
la luce nel buio dell’Inferno dantesco o si squadernano nei regni illuminati
dalla Grazia, ci tremerebbero vene e polsi nel pronunciarle perché stiamo
facendo poesia non trivialità e se alla fine dalle aule o dalle corti queste
pennellate di verità sono scese nelle strade per impigliarsi nei discorsi di
comari e carrettieri nei quadrivi, un significato ci sarà.
Perché la realtà va scoperta, non inventata, e le parole che
ce la svelano raramente fanno rima con ideologia, che non è ahimè l’idea della
ragione, ma l’idea che pretende di avere ragione e che sovrappone con la
violenza della manipolazione le proprie presunzioni alla verità. Così come
derideva Guzzanti affermando che “se la politica e i politici non rappresenta più gli elettori,
allora cambiamoli questi elettori!”.
La difesa delle parole, così come dei concetti base, quelli
che non avrebbero bisogno di sguainare spade in un mondo che non si fosse fatto
di egoismo trangugiato a grandi boccali di passionalità, diventa imperativa.
Proprio domenica scorsa Paolo di Stefano sul Corrierone pubblica il vocabolario
della nostra storia. Potete immaginare come ne sia rimasto colpito, prima dalla
vanità (ci staranno copiando? MI staranno copiando?) poi dal timore (e quale
parole sparano?) infine, letto il pezzo, sono stato assalito dalla delusione
intrisa di una consapevolezza cupa e amareggiata. Perché tra le parole che
secondo giornale e giornalista hanno cambiato il nostro costume non c’è nessuna
di quelle qui sottoposte a raggi etimologici, bensì termini quali Bancomat,
Scottex, Minigonna, Giradischi, Bosone, Hashtag e così via. Ora io capisco che
questa roba qui c’ha modificato la vita, vero, ma a me interessa più capire
come c’hanno modificato il cuore termini dell’antilingua-vale a dire “parole
dette per non dire quello che si ha paura di dire”, molto simile alle neolingua
orwelliana- come interruzione volontaria di gravidanza, divorzio, amore libero,
pillolo, diritto alla scelta, omofobo e così via.
Pia illusione quella di vederla sventrata questa cattedrale
del male che ci invita ad adorare noi stessi in una statua che solo quando si
toglierà la maschera rivelerà l’inganno rivelando che nel culto di sé si
nasconde quello del maligno. Un po’ come i vecchi Visitors dei miei anni.
Coltivare la poesia, questo sì. Lo diceva in un fortunato
libro Donatella Bisutti “la poesia salva la vita” perché scava dentro. Certo
bisogna però che il campo sul quale piovono versi e rime sia per lo meno
predisposto, non dico fertile, ma nemmeno arido, gonfio di rovi, preda di corvi.
Insomma che il travaso di senso non si scontri con quella
pochezza di ascolto che non è ignoranza –che come si sa spesso è intrisa di
saggezza, come raccontano quei bellissimi libri di un vecchi sacerdote
romagnolo del quale ora, a causa della confusione che fanno i miei inseparabili
amici Al e Xaimer non ho che un velato ricordo, un libro che contiene nel
titolo Parole e il posto dove lo conservavo sul comodino prima che fosse
rimesso a posto, anzi se qualcuno ha capito che me lo ricordi per favore, la
comunità che ci sta a fare? (ndr Parole Poverette di don Francesco Fuschini)-
non è ignoranza dicevo, ma rifiuto di ciò che non sta nel gradino della
pancia piena, del piacere immediato, quell’assurda chiusura allo spirito che
Paola Mastrocola racconta con una fulminante battuta “che dialogo ci può essere
tra una generazione che esclama ‘c’è del marcio in Danimarca!’ e una che
risponde ‘va bè, perché pensi che qui da noi si stia meglio?’”.
Parole dunque come dighe, come massi, come fondamenta, come
strada.
Lasciamoci guidare dunque dalle ultime parole che insieme
esploriamo, come territori nei quali trovare il nostro tesoro.
Progresso
Innanzitutto mito anche perché non si capisce perché andare
avanti debba fare stare meglio. Mi sembrava che i tempi del “se avanzo
seguitemi” fossero stati definiti un regresso. L’ingresso verso la sapienza non
necessariamente sta davanti e le sorti magnifiche e progressive impongono la
mediazione della coscienza per capire se per caso su alcune questioni non
convenga restare nella retroguardia invece che nella linea che avanza e viene
falciata dalle mitragliatrici nemiche. Perché a volte l’evoluzione si fa stando
fermi, non con le rivoluzioni, ma magari con il pensiero laterale che aiuta ad
avere una visione differente e a collegare tra loro causa ed effetto, preziosa
capacità questa che mi sembra ormai sempre più rara (e scusate la digressione).
Adelante Pedro con juicio era forse codardia per Ferrer, ma forse anche solo
buonsenso.
Salute & salvezza
Due is megl che uan, diceva una vecchia pubblicità. E due
siano. Perché spesso la prima viene presa per la seconda. Comprensibile in un
mondo che ha ridotto tutto a materia e l’uomo a corpo così che risulti
incomprensibili tutto ciò che è rinuncia per un fine superiore. Allora
l’allegra proposta di creare un quartiere a luci rosse diventa protezione della
salute per operatrici del sesso (ancora antilingua) e clienti come le case
chiuse, che poi si può anche fatturare e pagarci le tasse e non so se questa
roba qui sia tragica proposta politica o da affiancare ala cabaret dei Misteri
di satira dove si afferma che per combattere corruzione e pizzo la migliore
soluzione è legalizzarli e metterli in fattura. E a bilancio.
Salute è lo star bene di un corpo, va bene che Troisi
affermava che quando c’è questa c’è tutto, ma solo per rimproverare a Fiorenza
Marchegiani che l’amore non gli fosse bastante per perdonare un dolore.
Salvezza gioca su un piano diverso, superiore, totalizzante: è la nave che ti
ridà la speranza e la vita, intera non solo vegetativa; è la mano che ti
solleva, l’orecchio che ascolta, l’abbraccio che ti rinfranca. La benedizione
che ti ridona la Grazia. Nella tragedia di considerare la salute superiore alla
salvezza sta i declino della nostra società.
Desiderio
Come ricorda Nembrini, spiegando Dante, l’etimologia di
questa parola rimanda alle stelle, de-sidero, la voglia di andare alle stelle,
a riveder le stelle, a salire alle stelle. Con facile battuta l’abbiamo
reindirizzato alle stalle. Per via di quella voglia di materia che chiude
l’orizzonte trasformando la Terra non in un paradiso, ma in una gabbia dove
homo homini lupus, luogo che dà concretezza alla minaccia di Sartre “l’énfer
c’est les autres”, l’inferno sono gli altri.
Desiderio desideravi dice il Signore che va incontro alla
sua Passione. Ben altri desideri e ben altre passioni si giocano oggi nella
quotidianità. Ditemi voi se ci abbiamo guadagnato o perso.
Piacere
Don Fabio Bartoli spiega che l’etimologia di questa parola
di gran moda in realtà sembra negarne l’attuale applicazione: piacere deriva da
placare, cioè ciò che placa il desiderio rendendo reale ciò che si agogna.
Certo che se quello che desidero è l’insaziabile brama della carne, ma sarà
placato questo abuso di piacere. A ben pensarci “mipiace” dovrebbe dire proprio
questo: in Te mi riposo, in Te (ma anche in te) trovo quiete e pace. Per sempre, non il tempo che il post
svanisca dalla mia homepage. Se Ungaretti poetasse ora scriverebbe per
comunicare la fragilità: si sta come di sera, un tweet sulla timeline.
Decisione
Taglio netto, rasoiata precisa che divide, spezza, cancella.
Una decisione implica una rinuncia, perché questo è il bello della libertà:
quando da potenza diventa atto, nell’esercitarsi si limita, deponendo tutte le
scelte non fatte. Decisione è ancora di più. Taglio dopo aver pensato, visto,
constatato. Come un chirurgo. Che poi non è che può ripensarci e rimettere
insieme i lembi recisi. Non so se il plagio derivi dai videogiochi, che se
muori puoi comunque ricominciare, o dalla follia che pretende l’uomo artefice
del proprio destino, ma questa storia che chi decide si ritaglia il futuro una
volta per sempre non sembrano averla capita in molti.
Allegria
Forse fu colpa di Mike Buongiorno, che nello sdoganarla la
banalizzò al punto da diventare il claim di una grappa, o forse di chi ne ha
frainteso il senso, com’è come non è, di gente allegra oggi in giro se ne vede
pochissima. Spensierata sì, ma essere privi di pensieri non è un vanto a mio
parere. Allegro deriva da alacre, che fa trasparire la sua gioia perché pervade
tutto la sua persona, partendo come un fuoco dalla sua interiorità. Un santo a
me caro diceva che l’allegria buona non è quella dell’animale sano, ma quella
di chi si sa e si sente salvato.
Laico
Non ordinato. Tutto qui. I christifideles laici sono coloro
che non hanno emesso voti o ricevuto il sacramento dell’ordine sacerdotale.
Chissà come mai è diventato sinonimo di chi detesta la Chiesa perché ne nega i
valori? Laico sembra voler dire non confessionale, che peraltro non vorrebbe
dire anti-confessionale. Se per esser neutri bisogna essere contro c’è qualche
cosa che in questa definizione di neutralità non funziona. Chiedere alla
Svizzera, neutrale per definizione.
Perversione
Fuori dalla giusta strada. Per-vertire sta per distogliere
con violenza dall’obiettivo. Un po’ come de-vertere, divertire, che ha un senso
non dissimile –sempre un allontanamento dallo scopo- ma meno brutalità. Strano
che sia diventato un sostantivo che evoca raffinati giochi di piacere, forse
perché in assenza di bussola, tutto è un andare fuori strada. Che peraltro non
è come andare fuoripista.
Fatto è che si tratta sempre di andare contromano, che è
diverso da controcorrente e da controvento. E se per divertirsi ci si
perverte….
Tentare
Che strana parola che reca significati ambigui: provare
potrebbe essere positivo –va bè, Joda non sarebbe d’accordo, lui vuole fare o
non fare, ma diciamo che provarci probabilmente è segno di una volontà che si
allena- mettere in tentazione invece decisamente no. Lasciarsi tentare è ciò
che chiediamo al Padre Nostro di non farci fare, eppure di questa espressione
si sono appropriati i pubblicitari che senza accorgersene accostano i loro
prodotti al sussurro del maligno. La tentazione si sconfigge con la resistenza
–fino al sangue dice san Paolo, nella preghiera dico io- non certo cedendole. E
se la tentazione oggi si esercita attraverso strutture di peccato, bene evitare
di entrare nel vortice: non tentare di resistere alla tentazione, meglio
fuggire. Non è la fuga del disertore, ma del prigioniero che torna a casa.
Abitudine
Se è habitus è sinonimo di virtù. Se è ripetizione abusata
produce noia. La prima va coltivata, la seconda…. Per questo, per evitare che
questo incontri diventi abitudine, è bene mettere qui l’ultima parola a questa
traversata nell’oceano della confusione alla ricerca del senso perduto delle
parole: punto.
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