Apparso su LaCroce del 3 febbraio 2015
L’articolo
della scorsa settimana ha prodotto fuochi d’artificio sul socialcoso, dove molti hanno preso sul serio la
proposta di una task force stile WWF per la difesa di parole a rischio
estinzione.
Come dire: hanno davvero sguainato la spada per difendere il
verde dell’erba, ripetendo l’affermazione Chestertoniana ormai così usata da
aver superato il mikebuongiornesco “Allegria” nella classifica delle citazioni
più abusate.
E siccome l’iniziativa mi pare intrigante e in qualche modo
me ne sento responsabile ecco che accolgo con benevola attenzione questo grido
di dolore che si solleva da ogni parte del Belpaese per riflettere su
significato e conseguenze, soprattutto conseguenze, di alcune parole che fanno
la differenza.
Il che costringe a pensare. Ed è già un dono che questo
giornale fa a me: mi obbliga a rendere conto. E dimmi che non è un tesoro!
Perché se sono tanti a segnalare tante parole ormai erose di
senso, beh allora vuol dire che siamo di fronte ad una tragedia popolare, altro
che da Accademia della Crusca.
Infatti una lingua sopravvive alle abbreviazioni tvtb, alle
k invece che i ch, alle contrazioni delle parole in geroglifici ideogrammizzati
alle faccine, ma quando il senso resta saldo come roccia sulla quale costruire.
Ma che senso ha il
senso?
Riprendo questa frase tratta da un intrigante e profetico
monologo di Gaber (cliccate qui e state tranquilli: in coda all’articolo
pubblico tutti i link) citato da don Fabio Bartoli
in un incontro che avveniva più o meno contemporaneamente alla stesura del
precedente articolo e che finiva per trattare del medesimo tema: l’importanza
di dare solidità ai vocaboli, alle espressioni.
Già perché –e scusate l’inciso che ci sta- noi alla
comunione dei santi ci crediamo e crediamo proprio che ci si possa aiutare ed
intende a distanza, e siccome ci crediamo ecco che funziona, e lo vedi tutti i
giorni, rilanciato da sorriso a sorriso.
Solidità e senso. La possibilità di ragionare, che forse è
il vero obiettivo di questa desertificazione, perché un uomo in balia
dell’attimo fuggente è preda di chi tesse alle sue spalle un film noir, in cui
l’incauto ottimista, o idiota se preferite visto che il naufragio è assicurato,
finisce per essere al contempo assassino e vittima.
Già perché questa menzogna dell’attimo da cogliere, altro
inganno dello svuotamento del linguaggio, ti trascina giù dal prendere quello
che viene dalla vita come dono della Provvidenza –che questo sarebbe sì
degustare il succo di ogni instante- per sbatterti in un manicomio dove ogni
istante è slegato dal precedente in una sequela di frammenti senza senso, senza
memoria, senza coerenza. Come il Tom 10 secondi
che Drew e Adam incontrano nella clinica del dottor Aykroyd nel film 50 volte il primo bacio che resetta la
sua vita e il suo cervello appunto ogni 10 secondi.
Così nella stessa frase c’è chi su Facebook riesce ad urlare
che non esistono differenze tra le persone e che “io ho il mio pensiero
personale e lo devi rispettare”. Come? Se non esistono differenze? Che cosa
sono le differenze?
Questo pensare per momenti e soprattutto per frasi fatte,
non solo nega coerenza e logica, ma crea mostri comportamentali, persone
sedotte e derise dai luoghi comuni che brandiscono senza nemmeno capire ciò che
dicono.
Prendiamo proprio differenza: confusa con disuguaglianza
viene attaccata come se fosse un reato di lesa persona, altro vocabolo del
quale non si capisce il significato, senza capire che l’uguaglianza così intesa
lungi da rendere felici devasta l’umanità, appiattendola su una sovrapposizione
dettata da altri. Se uguali vuol dire congruenti, cioè sovrapponibili, cioè
indistinguibili, vuol dire che allora l’unico scenario possibile è un mondo di
cloni, deprivati del pensiero, assoggettati alla meccanica, di fatto uno
scenario alla Matrix.
Se invece uguaglianza significa pari dignità, allora la
differenza –che peraltro sperimentiamo istante per istante: ecco di nuovo una
dimostrazione di come l’ideologia scolla dalla realtà- è ricchezza e va
coltivata, va incentivata, va difesa.
La paura è più profonda: differenza implica merito, implica
talenti e classifiche, implica umiltà per riconoscere che ho dei limiti e li
devo saper riconoscere. Implica apprezzamento degli altri. E temo che di questo
oggi si abbia folle timore, perché un mondo che mette al centro me, rendendo
sostanza l’antica diabolica minaccia “sarete come Dio”, impone che il mondo a
me si pieghi e che io non possa essere più debole di te e che abbia ragione per
definizione.
Noi invece non temiamo le differenze, anzi le benediciamo,
perché sappiamo che dal dialogo nasce verità.
Stop! Stop! urlerebbe Gaber nel monologo sopra citato tratto
da Io se fossi Gaber. Che cosa vuol dire dialogo? Che cosa vuol dire verità?
Ecco altri due termini che meritano attenzione perché se
crollano, come i pilastri del tempio insieme a Sansone, seppelliscono tutti.
Il punto è che per capire il dono che sta dentro bisogna di
nuovo far sforzo di umiltà e tornare a comprendere che la natura (stop!) ci precede
e ci insegna. Come spiegava san Tommaso d’Aquino, e ricordava pochi giorni fa
qui in pagina don Fabio (sempre lui!) nulla esiste nel mio pensiero se prima
non passa dai sensi. La natura, cioè l’essenza ontologica delle cose, e il loro
scopo, esiste prima di me e io devo riconoscerla non inventarla. Devo dare un
nome alle cose non crearle: il mio verbo non è il Verbo per mezzo del quale
tutto è stato creato.
«L'uomo si comporta
come se fosse il creatore e il padrone del Linguaggio, mentre invece è il
Linguaggio che rimane il signore dell'uomo. Quando questo rapporto di sovranità
si rovescia, l'uomo si inventa strane macchinazioni», scriveva Heidegger mi
sembra con grande saggezza.
Dunque verità è adeguarmi alla realtà intrinseca dell’essere
che vedo intorno a me: l’erba è verde e se voglio difendere la verità della
realtà son pronto a sguainare le spade perché è falsa accoglienza approvare che
sia blu, posso prendere atto in un primo momento che su lo dica, perché siamo
nell’ospedale da campo e devo prima conquistare la tua fiducia –non perché devo
venderti la fontana di Trevi ma perché ti voglio realmente bene- prima di
lanciarmi in una estenuate discussione sulla sintesi clorofilliana, ma non
scenderò mai dalla verità.
(Compito a casa: trova la differenza tra approvare e
prendere atto).
Questo è dialogo: ragionare insieme. E come lo si debba fare
ce l’ha insegnato un filosofo brillante spesso citato a sproposito, tale
Socrate ateniese vissuto tra il 460 e il 400 aC, che ha illustrato il
devastante potere della domanda. Dialogare per me vuol dire chiedere, con
schiettezza e umiltà, con onestà intellettuale, ed essere pronto a comprendere
ciò che viene detto.
Oggi dialogare viene confuso con affermare e soprattutto con
affermare idee mainstream. Dialogo solo con chi mi approva. Entusiasticamente.
Chi dissente è fascista (stop!) e non vuole dialogare: anche frequentando blog
e luoghi aperti al dialogo con i distanti se ne ricava l’impressione, spesso
non sempre, che per molti di quelli che trovano spazio nei quotidiani e in
certe piazze dialogo voglia dire “dammi ragione”, voglia dire “ascolta in
attento e affascinato silenzio ciò che dico per approvarlo”, voglia dire “non
provare a dissentire perché allora non dialoghi, allora imponi e io ti
asfalto”.
Chiaro che nel mondo di oggi tutti subiamo questa patologia,
tutti siamo portati a dire invece che a proporre, che non vuol dire ritenere la
verità opinabile, ma scegliere un modo più affettuoso che direttivo. Chiaro. Il
giusto cade sette volte al giorno. Figurati io.
Ma dialogo vuol dire sforzarsi di capire, non voler imporre.
Specie luoghi comuni.
E qui si arriva ad un altro vocabolo di quelli che non si
squadernano facile, che richiedono rime aspre e chiocce per difenderlo:
educazione.
In un mondo che pretende libertà come fine l’educazione è
violenza, tranne quando insegna ciò che il pensiero comune impone. Per cui si
deve illustrare che sesso è bello e sesso è ogni cosa mi salti in testa, perché
così ti libero dai condizionamenti –falso logico dato che in realtà te ne sto
inculcando altri- e lo posso fare fin da piccolissimo perché così non sei
imprigionato dai falsi miti della tradizione.
Educare significa aiutare a sviluppare il potenziale e per
farlo devo darti la capacità di leggere la realtà, devo darti un vocabolario di
valori e di virtù, con le quali poi sta a te scoprire il mondo. Come dice quel
delizioso adagio, che nella lingua originale –l’inglese- suona meglio, educare
significa preparare i figli per il cammino, non il cammino per i figli.
Di nuovo impone capacità di leggere la realtà, e la persona
sta dentro questa realtà, non dentro l’ideologia dominante che si inventa un
essere umano a sua immagine e somiglianza invece che a Sua, quella originale
(stop! va bene: originale = conforme al disegno all’origine).
Il discorso si fa complesso e i caratteri a mia disposizione
scivolano via come polvere nel vento, chissà che non abbia scoperchiato un
filone che possa garantirmi altre puntate, a Dio e Mario piacendo, e mentre già
scorrono i titoli di coda mi lancio allora nel dizionario polemico e ragionato
di alcune delle parole che mi sono state segnalate iniziando da quella
richiesta –come si faceva una volta per le dediche in radio- da Antonella
Maggi: decisione.
Decisione
Oggi il contrario è virtù, non l’indecisione però, l’altro
contrario: voglio tutto. Perché scegliere quando puoi veltronescamente avere
cicci ma anche coccò, come insegnava che non era possibile fare mia nonna.
Decidere vuol dire tagliare, lasciare da parte. Il che impone criterio e conoscenza
della realtà. Per questo oggi non si decide, si sceglie, perché nessuno vuol
rinunciare. Il lusso è un diritto insegna la pubblicità.
Curare
Riportare alla salute iniziare, al progetto iniziale. Si
cura solo ciò che è fuori rotta. Oggi al sinonimo prendersi cura si preferisce un minaccioso dare cura che implica bastoni, olio di ricino, e te lo spiego io
come devi essere.
Ubbidire
Oggi è il peggiore dei mali, atto dei sottomessi (stop!)
privi di volontà. In realtà è l’azione dei coraggiosi, degli impavidi, dei
temerari. È il più umano (stop!) dei comportamenti quello che al tempo stesso
esalta la volontà e la conoscenza. So di sapere che esiste qualche cosa di puù
grande di me e me ne lascio cullare. Obbedire non è rinunciare al pensiero è
applicarlo per riconoscere la verità. Sono meno uomo se non obbedisco alla
legge di gravità? Se attraverso col rosso? Se gioco a calcio prendendo la palla
in mano? Libero è colui che obbedisce alle leggi diceva Epitteto. E tutti a
chiedersi in che squadra giocava.
Amicizia
Guardarsi dal suo difetto principale che non è odio ma
complicità. Meglio un nemico dichiarato che un falso amico, un Lucifero che mi
porti nel paese dei Balocchi. Ah ma ci siamo già è vero.
Prossimamente: discernere, accogliere, autorità, laico,
bellezza, famiglia, cattolico, tolleranza, rispetto, coerenza, fede, limite,
regole, ordine, perversione…
Gaber le parole https://www.youtube.com/watch?v=i9JGFOZvcxk
Don Fabio Bartoli sul senso https://soundcloud.com/fabio-bartoli/sets/ascolta-figlio-mio
Ciao io sono Tom https://www.youtube.com/watch?v=T4QWQjWtgToù
L’articolo precedente
http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2015/01/28/media/i-media-e-le-parole
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