Apparso su LaCroce martedì 3 marzo 2015
Umiltà sì rara e negletta che più cara è solo verità!
Strappa un grido così accorato e doloroso questa malattia
che rode dentro la società e la svuota degradandola come un tumore che mangia
la carne e il midollo.
Scrive la settimana scorsa un pungente editoriale sul
CorSera Ernesto Galli della Loggia il cui incipit merita un applauso quale
quello che ricevette Fantozzi al suo significativo commento della Corazzata
Potemkin.
Lo riporto per esteso per scatenare in voi la medesima
reazione:
“La decadenza di un
Paese si misura anche dall’incapacità della sua classe dirigente di vedere i
propri errori, di discuterli e magari di correggerli”.
E già qui ci sarebbe
trippa per gatti, abbondante materiale per lanciare un dibattito –si sarebbe
detto nelle assemblee post68- oppure per iniziare un cammino, direbbero oggi
nelle parrocchie. A me scatena una profonda paura questa incapacità di vedere i
propri errori anche perché questa limitazione non è frutto di insipienza o
ignoranza, che queste avrebbero un alibi –dannosissimo, ma pur sempre scusante,
certo che se la classe dirigente è incompetente…- a differenza della realtà, o
di quella che io temo sia la realtà. Non da solo peraltro, che l’Ernesto
continua:
“Ma la classe dirigente
non è fatta solo dai politici. Ne fanno parte a pieno titolo pure le grandi
corporazioni professionali pubbliche e private: l’alta burocrazia, i
magistrati, gli avvocati, i medici, i notai, i giornalisti, i farmacisti ecc.
Da queste corporazioni però, dai loro «ordini» e associazioni, in tutti questi
anni - mentre il Paese si avvitava nella crisi, mentre mille nodi arrivavano al
pettine - non è mai capitato di ascoltare alcuna voce autocritica di qualche
consistenza. A nessuno è mai venuto in mente di avere il più piccolo rimprovero
da farsi. Nulla. Tutti innocenti. Tutti attenti solo al bene pubblico, si
direbbe, alla deontologia professionale, al buon andamento delle cose”.
Non incapacità dunque, ma presunzione. Tutti convinti che la
loro posizione sia quella giusta.
E questa preoccupazione che l’editorialista del Corriere
incolla a corporazioni prima di scagliarsi contro la casta dei professori
universitari, a mio parere va estesa a tutti: #jusuisArrogant potremmo dire.
Perché? Da dove arriva? Quali conseguenze ha? Come deturpa
la società?
Queste solo le domande che vorrei porvi e insieme cercare
una risposta sensata che ci aiuti a trovare una soluzione. Perché secondo me
qui c’è un punto chiave del nostro andare, che determina secca la destinazione
e non solo il percorso.
L’umiltà non è più di moda in un mondo in cui l’uomo che ha
successo è quello che non deve chiedere mai, in cui l’obbedienza è stata
derubricata a vizio –ah che errore in buona fede don Milani! Sapessi come ti
manipolano oggi con quella tua infelice provocazione contro la guerra!- in cui
la sottomissione, intensa nel suo senso pieno di mettersi al servizio di chi si
ama, è condannata senza nemmeno chiedere spiegazioni, mentre quella perversa da
cinquanta sfumature di sesso è proposta come raffinata relazione tra adulti, in
cui arrogance ed egoiste sono
attributi così apprezzati da diventare evocativi marchi di profumi, in cui
tutto diventa un diritto a prescindere,
in cui il male sembra non esistere se non il ciò che il mainstream decide
sia così fastidioso da meritare una condanna pubblica.
Perché ciò che ci hanno insegnato è che noi abbiamo diritto
alle nostre idee, quali che siano, e chi si oppone è un nemico da abbattere,
fatto salvo che si cucini il tutto con la più grande delle ipocrisie: la mia
libertà finisce dove comincia la tua. Che tra parentesi oltre ad essere un
falso storico è una imbecillità senza fine.
Poi mi spiegate dove scorre questo confine tra chi sostiene
che 2+2=5 e chi invece pretende che 2+2=4.
Ne consegue che l’affermazione di sdegno di Galli della
Loggia appoggia su un presupposto oggi ormai incontestabile: io ho ragione. Io,
chiunque io sia, qualunque cosa faccia, qualunque ruolo abbia nella società.
Perché la casta è ovunque: negli imprenditori (#abbiamosemprefattocosì!), negli
insegnanti (#questiragazzinonsipossonotenere) nei genitori
(#lascuolanoncapisceilmiocucciolo), negli automobilisti
(#checosahofattodimale). Ovunque.
E ogni categoria si riconosce vittima della società.
Rimaniamo nel mondo descritto dall’editorialista del CorSera, quello
dell’istruzione, oggi si assiste spesso ad una vera e propria guerra tra
insegnanti e genitori sull’educazione dei figli. E nessuno che faccia il famoso
passo indietro per chiedersi, con serenità: che cosa potrei fare meglio? Dove
sbaglio?
No, è una battaglia di affermazioni, dove invece il dialogo
imporrebbe le domande.
Questo tratto emerge in modo dolente ed evidente nei social
media, dove la domanda è più rara dell’ironia, il che è tutto dire. Di fronte
ad una affermazione ritenuta provocatoria, quasi nessuno prova a chiedere una
ragione: il modo tradizionale di rispondere è l’offesa, l’attacco, la puntata.
Contraria ed in escalation.
Perché fare domande implica una serie di conseguenze:
innanzitutto confrontarsi ragionando con una risposta; poi mettersi in
discussione, non dico per cambiare idea, ma almeno per dare sostegno alla
propria posizione –redde rationem!- argomentando con logica e non con pancia;
infine ascoltare, la cui grammatica andrebbe insegnata con grande energia
ovunque.
La situazione peggiora quando è la mia vita a dettare i
parametri del bene e del male: siccome io non posso essere sbagliato –la cosa
comporterebbe dover riflettere sul senso della vita e su come trovare il
perdono e dove- e ciò che ho fatto sono io –altro grave errore dovuto
all’incosciente Cartesio che ha distrutto il reale per fingere Matrix- allora
ne consegue che la mia vita è il bene e sono pronto a combattere con chiunque
che prova a sostenere il contrario.
Il gioco del maligno è semplice: trasportare la controversia su bene e
male dal piano razionale a quello personale, che se una persona si sente
mettere in discussione la vita combatte come una tigre per difendersi.
Ecco perché si devono sguainare spade per sostenere che il verde
sia il colore dell’erba: perché ne va della mia vita e di quello che la vita ha
significato per me.
Facile allora trovare l’origine di questa tigna che ci
divora. Cito volentieri Sant’Agostino che insieme alle cause propone anche la
soluzione: “È stato l’orgoglio che
ha trasformato gli angeli in diavoli; è l’umiltà che rende gli uomini uguali
agli angeli”.
L’aver posto al centro del mondo l’IO invece che DIO ha
scardinato l’equilibrio, perché di IO ce n’è miliardi e ognuno cerca il suo
spazio. Che tende a gonfiarsi in una egolatria distruttiva. Le conseguenze sono
evidenti: una società che puntava a rendete tutti felici perché liberi di fare
ciò che avessero in animo, è diventata una società forse sazia (parliamone dopo
la crisi) ma sicuramente disperata, piena di dolore, di sofferenza, di angoscia
e tutte percepite come inutili. Una società senza senso che inasprisce i
conflitti e favorisce, paradossalmente, quel razzismo che voleva debellare.
Perché non c’è nessuna ragione per cui debba considerare gli
altri fratelli se non abbiamo un Padre in comune.
Un giorno per caso ho scoperto il blog di Costanza ( come ho fatto a non scoprilo prima ? ) , tramite lei ho scoperto la Croce ed oggi sono finito anche qui . Mi sono piaciuti molto i suoi contributi sia sulla Croce che sul blog di Costanza , molto toccante Cogito Interruptus , una provocazione senza superbia , condivido molto quello che scrive e le faccio io miei complimenti. Francesco
RispondiEliminaGrazie a lei Francesco, è molto gentile e apprezzo molto il suo complimento.
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