C’è
che la sindrome da figlio unico coccolato m’è rimasta dentro anche se dovrei
averla dimenticata almeno dal 1985, anno del Signore in cui sono diventato una
carne sola con la mia signora, e ancora di più dal 1986 385 giorni dopo il sì,
quando la coppia è diventata famiglia a tutti gli effetti.
Così
mi capita che quando si cena tutti insieme, a metà strada tra tavola e
fornelli, mi salti lo sghiribizzo di capire se qualcuno porgerà almeno il
piatto al capo famiglia, non dico che lo serva che sarebbe volar alto, ma
almeno condividere il vassoio come vedi fare nei telefilm americani dove le
famigliole –definizione originale della mia dolce metà- si riuniscono per
mettere insieme cibo e avventure, come nei duri e bellissimi telefilm di Blue Bloods molto johnwayne
come piace a me.
All’ennesima
mia domanda, un po’ polemica confesso: “andiamo a self service?” mi viene
intimato di definire cosa intendo e nel balbettio che ne segue esce perentoria
una affermazione: “qui è come dal benzinaio: ci sono due corsie. Self service e
servito. Solo che quella servito è spesso chiusa. E fanne pure un post”. Cosa
che mi affretto a fare.
Inciso:
c’è anche una terza modalità che potrebbe equivalere al servizio notturno non
presidiato. La chiamiamo: ad apertura di frigo, estendendo la possibilità di
aprire sportelli anche alla dispensa e alla cassettiera. Ce la giochiamo quando
siamo tutti un po’ cotti o tutti di fretta o di passaggio. E’ una versione
famigliopugnesca dell’all you can eat con l’aggiunta dell’ if you can find it…
per dirla papale papale magna quello che trovi.
Ma
nelle cene ufficiali, quelli in cui c’è almeno un figlio (se ci sono tutti e tre
si festeggia ovviamente), vigono i due percorsi summenzionati, un po’ come la
corsia blu per freccia lata-ulisse e non tesserati…
Dunque,
ricapitolando, siamo una famiglia self service con qualche rara concessione al
servizio, come un regalo speciale che mi verrà poi ricordato in secula
seculorum.
È
che ormai la tessera fedeltà ce l’ho, e come potrei mai cambiare…
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