Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

mercoledì 30 maggio 2012

come un distributore di benzina





C’è che la sindrome da figlio unico coccolato m’è rimasta dentro anche se dovrei averla dimenticata almeno dal 1985, anno del Signore in cui sono diventato una carne sola con la mia signora, e ancora di più dal 1986 385 giorni dopo il sì, quando la coppia è diventata famiglia a tutti gli effetti.
Così mi capita che quando si cena tutti insieme, a metà strada tra tavola e fornelli, mi salti lo sghiribizzo di capire se qualcuno porgerà almeno il piatto al capo famiglia, non dico che lo serva che sarebbe volar alto, ma almeno condividere il vassoio come vedi fare nei telefilm americani dove le famigliole –definizione originale della mia dolce metà- si riuniscono per mettere insieme cibo e avventure, come nei duri e bellissimi telefilm di Blue Bloods molto johnwayne come piace a me.
All’ennesima mia domanda, un po’ polemica confesso: “andiamo a self service?” mi viene intimato di definire cosa intendo e nel balbettio che ne segue esce perentoria una affermazione: “qui è come dal benzinaio: ci sono due corsie. Self service e servito. Solo che quella servito è spesso chiusa. E fanne pure un post”. Cosa che mi affretto a fare.
Inciso: c’è anche una terza modalità che potrebbe equivalere al servizio notturno non presidiato. La chiamiamo: ad apertura di frigo, estendendo la possibilità di aprire sportelli anche alla dispensa e alla cassettiera. Ce la giochiamo quando siamo tutti un po’ cotti o tutti di fretta o di passaggio. E’ una versione famigliopugnesca dell’all you can eat con l’aggiunta dell’ if you can find it… per dirla papale papale magna quello che trovi.
Ma nelle cene ufficiali, quelli in cui c’è almeno un figlio (se ci sono tutti e tre si festeggia ovviamente), vigono i due percorsi summenzionati, un po’ come la corsia blu per freccia lata-ulisse e non tesserati…
Dunque, ricapitolando, siamo una famiglia self service con qualche rara concessione al servizio, come un regalo speciale che mi verrà poi ricordato in secula seculorum.
È che ormai la tessera fedeltà ce l’ho, e come potrei mai cambiare…

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