prossimo post sabato 21 aprile
«Già, Gabriele. Non lo
ricordavo più. Nome nobile. E' l'angelo che ha portato l'annuncio a Maria. Uno
dei tre arcangeli insieme a Raffaele e Michele. La madre di quell'uomo commise
un errore mostruoso: o forse fu lui ad essere schiacciato dal peso di quel
nome. Nomen sit omen: il tuo nome ti
sia di buon auspicio. Fu una sciagura, invece. Tutto in quella persona faceva
pensare alla bassezza: la meschinità emanava da lui come una deformazione del
corpo che nessun abito sia mai in grado di nascondere. Era forse la luce degli
occhi o il modo in cui si torceva di continuo le mani o quel sibilo, dovuto ad
una forma particolare di asma contratta in gioventù nei terreni paludosi e
malarici dove era nato. Viveva nella perenne convinzione di essere l'olocausto
dell'umanità: una sorta di vittima predestinata da un dio cinico e sarcastico che l'avesse eletto come capro espiatorio. E lui non negava a nessuno
il suo disprezzo. Era impiegato postale nel paese di montagna, nel cuore
dell'Abruzzo, dove andai a vivere per un certo periodo. Vi trovai impiego mentre
decidevo che cosa fare della mia vita. Commesso da un pizzicagnolo. Per
sopravvivere. Gabriele veniva a comperare formaggio e salame. Scivolava dentro
il negozio, uno stanzone buio e polveroso, quando le ombre si facevano più
dense. Sentivo il suo sibilo rauco prima ancora di vedere la sua faccia.
"Firmino", mi diceva, "Firmino, il solito". E aggiungeva
subito: "anche oggi scalogna nera. Lo sai quanti pacchi si spediscono in
questi paese di balordi? Più che le capre! Sembra che ogni bestia abbia parenti
ovunque nel mondo... E che gli manderanno mai? Pacchi pesanti, come peccati. E
tocca a me portarli tutti: dallo sportello al cestone, dal cestone alla porta,
dalla porta al furgoncino. Io non c'ho più l'età, Firmino. Lo vedi come sono?
Secco. E loro ridono di me. I pacchi li spediscono solo per farmi faticare. Lo
so, lo so. Non scuotere la testa. Li vedo in faccia io, quando vengono lì con
quei loro macigni. Hanno facce rosse, gonfie, sporche. Hai mai visto come sono
sporchi? Tutti! Anche il farmacista, che fa tanto il signore. Ma è sporco pure
lui. E non mi saluta quando passo davanti alla sua bottega e lui è lì, sulla
porta a fumare. E che? Non si può vivere senza medicine? Io, le sue medicine,
non gliele compro mai! Mai, hai capito Firmino? Io con le erbe mi curo. Eppoi
non mi curo mai perché sono sempre malato e non c'è più nulla che mi possa
aiutare. La posta invece: come si può vivere senza quella? Come li manderebbero
quei loro pacchi senza la posta? Maledetti loro e i loro pacchi! Firmino, me
l'hai dato saporito il formaggio? Eh, Firmino. Se non ci fossi tu in questo
paese... ti dovevano inventare. Benedetto il giorno che sei arrivato. A
proposito Firmino, da dove vieni? Me l'hai già detto, ma non ricordo. Non ho
mai spedito pacchi per te! Grazie Firmino. Li odio i pacchi, io". Io
tacevo. Era l'unica difesa. Ma anche il silenzio può essere giudicato, se
proprio vuoi. Poi si trascinava fuori dal negozio, si fermava sulla soglia e
con quegli occhietti piccoli e luccicanti -sì, luccicanti, come la pelle di una
anguilla- radiografava la piazza. Un disgraziato, ti dico. Aveva accompagnato
la moglie al cimitero: era bianco
come una busta. Lui ce l'aveva mandata! Almeno così dicevano. Non che la
picchiasse: anche se per la verità non posso escluderlo. Fu il suo veleno:
l'astio che colava da ogni suo gesto. Un anima di quelle che tengono la lista
dei danni. Il rancore, che non aveva il coraggio di sfogare, gli si
moltiplicava dentro come un virus. E poi traboccava. Era arguto: non c'era frase che non contenesse un retrogusto
marcio. Se diceva "buonasera", lo accompagnava con un tono sordo e
minaccioso, e con un gesto della testa di sbieco, come se stesse
attorcigliandosi su se stesso per attaccarti, alla moda di un serpente a
sonagli, e pareva ti dicesse: "che sia la tua ultima sera". La moglie era pian piano svanita, si era fatta
trasparente: consumata, come una candela. Finché non era rimasto più nulla e si
era spenta, bianca sul grigiore diffuso delle lenzuola. "M'ha fatto
torto", urlava Gabriele, "m'ha fatto torto anche morendo. Mi ha
lasciato solo: e come faccio adesso con la casa e una figlia da
maritare?". La figlia si era maritata da sola e in gran fretta, appena
dopo la morte della madre. Era scappata via, ti dico. Credimi: so come si può
fuggire. Forse aveva fatto sciocchezze prima del matrimonio per liberarsi da
quel padre: aveva il terrore che uccidesse anche lei. "Svergognata! Il
primo foresto che le è capitato a tiro!", commentava Gabriele, "che
razza di uomo può essere quello? Un rappresentante di commercio: di biancheria
femminile. Mascalzone! Come gli fatto gli occhi dolci lei qui, chissà quante
donne... Peggio di un marinaio. Questo Cristina proprio non doveva farmelo. Mi
ha rovinato. In paese lo dicono tutti: una ragazza inutile, leggera. E quello?
La farà soffrire. Ah, ma io sono un buon padre, io. Mi trasferirò da loro,
quando la finirò di spedire pacchi. E allora aggiusterò tutto io. So di avere
le mie responsabilità. E metterò tutto apposto". Doveva aver comunicato
queste sue intenzioni alla figlia, perché né lei né il marito si fecero più
vedere in paese e dicono che cambiarono anche casa senza più scrivere al padre,
per il timore di vederselo piombare addosso all'improvviso. Io ero ancora
giovane, allora. Lo stavo a sentire. Un anima torva così non l'ho più
incontrata. Però mi è rimasto il dubbio che la colpa non fosse tutta sua.
Chissà, un torto patito in gioventù: forse l'asma vissuta come un castigo
immeritato. Se qualcuno fosse stato a sentirlo fin d'allora... Certe volte mi
pareva di vedere un alito diverso: come uno spirito prigioniero che cercasse di
forzare la serratura e venire fuori. In controluce mi pareva di scorgere sul
suo volto agitarsi un altro uomo che premeva e piangeva per liberarsi. Sembrava
che i lineamenti stessi si distendessero per assumere toni più sfumati, più
lievi. Un secondo. Forse anche meno. Poi ritornava quell'espressione fratturata
e cattiva. Non so che fine abbia fatto. Dopo qualche anno me ne andai da quel
paese. Mi era venuto a noia quel sole stanco che rovesciava pigrizia».
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