prossimo post sabato 7 aprile
E voi pensate
che sia facile avere sedici anni? No dico, vi siete mai posti il problema di
avere sedici anni oggi? E non venite a dirmi che sedici anni li avete avuti
anche voi. Era un mondo diverso. Molto più semplice. Mica dovevate combattere
con la tecnologia, voi. Al massimo la fame, tipo il terzo mondo, che poi so
bene che è una balla e che la raccontate per spaventarci, e mica ci caschiamo
noi. Non avevate neppure il telefono. Che ne so? Tipo ci avete talmente
stressato con i vostri tempi che mi sembra di averci passato un’altra vita. E
non è la mia. La mia è qui. Ma lo capite o no come è dura rimanere sulla
cima dell’onda? Perché se non ci sei, non sei nessuno. E qui chi non è nessuno
è già morto. Meglio che lo fosse anche fisicamente. Perché sei nel tunnel. E
soffri. E se non soffri abbastanza ci pensano gli altri a farti soffrire. Ma lo
capite o no quanta cura dobbiamo metterci nel farci vedere? Che c’è un limite
ogni volta: appariscente sì, ma puttana no. Perché poi i ragazzi non ti
chiedono che quello. Già tipo sanguisughe non pensano ad altro, che se li senti
parlare sembrano i Simpson versione porno. Quelli dei film che vedono su
internet che li scaricano a manciate neanche fossero cioccolatini e poi te li
raccontanto che non c’è più che vomito a sentirli. Se poi sembra che gliela dai
senza aspettare, allora non c’è più riposo. E’ tutta una questione di immagine.
Capisco che non si pensi ad altro. E non dico che non mi sono data da fare. Non
così però: fare sesso nei bagni o in macchina o dietro casa tua, ma nascosta
così nessuno ti vede. Che poi se mi vede mia madre, che se ne frega, che cosa
potrebbe mai dire? Che cosa fa lei in fin dei conti? Che quanto a eccessi
faccio fatica a starle dietro! E voi, non dovevate mica competere con le vostre
madri voi in quei famigerati anni Settanta che tanto ce li venite a menare con
Fonzi e i Beatles e quale altra diavoleria non me la ricordo più. Non mi
interessava e l’ho rimossa. Come faccio di solito. Non voglio avere una
discarica in testa: quello che non serve immediatamente si butta subito. Così
c’è più spazio per pensare a come divertirsi. Eh, dovevate difendervi dalle
vostre madri voi come tocca fare a me? Che quando mi costringere a fare
shopping con lei li vedo gli uomini, tutti, e anche i ragazzi, quelli che ci
farei l’occhio acceso e un po’ pornito, che guardano lei invece che me e le sue
scollature e scosciature come se il mondo le girasse attorno e il marciapiede
fosse una passerella. Che credo che voglia farlo solo per distruggermi, per
annichilirmi, per umiliarmi tipo che guardano solo lei e non me, che sono
ancora uno schizzetto. E io gliel’ho fatta addosso invece, che con il ganzo che
le ronza attorno, e lei ci sguazza anche se è quasi più vicino a me che a lei
di età, ci sono andata io mica lei. Forse anche lei, chemmifrega. Ma io pure.
La sera che lei si è fatta aspettare. E non s’è accorta di niente. E ne sono
orgogliosa perché questa volta l’ho vinta io. E mica mi pento sai? Di che cosa?
Di fare quello che fanno tutti? Quello che chiedono tutti? Tanto tutto passa,
neppure un’ora e passa. Vivere il presente. Ecco. Lo dicono tutti. Anche quelli
famosi che vedo in tv e che mi fanno impazzire perché voglio anch’io diventare
così. E non fare fatica. Che mia madre non la fa la fatica. Ha spiantato mio
padre. Che quando se ne è andato l’ha morso fino al midollo. Rosicchiato.
Spolpato. E adesso siamo ricche. Lui è ricco e anche noi. Finche dura. Lo dice
sempre lei. Ma io non voglio fare fatica. Non serve. Non la fa nessuno. A scuola?
Ma non farmi ridere! Che c’è sempre un modo per copiare, fregare, passare. E
che serve studiare? Per fare i secchioni? Come le verginelle e i nerds, che
stanno rintanati nella loro cultura e avvizziscono, in mucchi scomposti e
rinchiusi perché non se li fila nessuno, solo fra di loro, che fanno ridere e
non li tormentano nemmeno più perché non c’è gusto, solo quando sei un po’ giù
e non ti va neppure di niente, allora una presa in giro, un paio di sberle, che
non rifiutano mai, e ti tiri subito su. Che non bisogna essere sballati o tipo
teppisti per fare queste cose qui. Che le fanno tutti e gli sfigati se le
aspettano, ti sorridono e se le aspettano, fa parte del gioco, noi i belli loro
gli sventurati. Noi quelli che piacciano, loro bui. E senza superare il confine
e finire tra i bulli, che quelli non piacciano a nessuno, e sono deboli: fanno
finta di sbancare, ma sono corrosi dentro. Lo capisci. Aggrediscono solo perché
non riescono a guardarsi allo specchio. E sono così grezzi, sporchi, scialli.
Noi siamo scianti e lindi: eleganti. Belle facce, mia nonna direbbe acqua e
sapone. E mi diverto quando lo fa perché non sa, e non potrebbe mai sapere.
Perché come ti guarda lei brucia. E quel fuoco io non lo voglio.
Però poi mi ritrovo questa faccia da malmostosa addosso sempre, anche dentro, come se mi guardassi in uno specchio interiore, che quando me lo dicono mi arrabbio perché capiscono e non voglio che capiscano. E un po’ fa smeriglio, fa superiore, ma troppo poi finisce che te lo dicono. Sorridi. E perché? E poi chi te lo dice è un adulto che non mi frega niente, mentre il mio giro non te lo dice neanche, ti spinge ai margini e poi ti espelle: perché fari i duri sì, ma i tristi mai. E’ una questione di immagine. Che noi vogliamo sempre divertirci. Che ci stiamo a fare sennò? Che tutto passa, ma qualche cosa rimane, ed è sempre la parte meno bella, più acida, che graffia. E temo che non ci sia trucco sufficiente per coprirlo, perché non è intorno agli occhi, ma dentro. E la faccia un po’ ingrugnata fa trendy, ma ci ho l’impressione che non sia una faccia che ti metti su tipo per cuccare o farti notare, ma perché non te la riesci a togliere che c’ha le radici dentro, profonde. Perché quando guardo il mare, non è la voglia di veleggiare che mi viene, ma quella di annegare. E questo non è bello. E la sera. Tipo quando perdo quei minuti affacciata alla finestra a fumare per non impregnare la stanza, che a me fregherebbe anche, ma lei rogna perché detesta quest’odore le ricorda mia padre, non è il cielo che vedo, né i colori, ma una coperta tesa, come quelle che da CSI copre i morti delle autopsie. E non so perché, ma non mi piace. E non so guardare più in là di domani, che già faccio fatica e non so neppure perché dovrei farlo. Ma un po’ mi ferisce.
Però poi mi ritrovo questa faccia da malmostosa addosso sempre, anche dentro, come se mi guardassi in uno specchio interiore, che quando me lo dicono mi arrabbio perché capiscono e non voglio che capiscano. E un po’ fa smeriglio, fa superiore, ma troppo poi finisce che te lo dicono. Sorridi. E perché? E poi chi te lo dice è un adulto che non mi frega niente, mentre il mio giro non te lo dice neanche, ti spinge ai margini e poi ti espelle: perché fari i duri sì, ma i tristi mai. E’ una questione di immagine. Che noi vogliamo sempre divertirci. Che ci stiamo a fare sennò? Che tutto passa, ma qualche cosa rimane, ed è sempre la parte meno bella, più acida, che graffia. E temo che non ci sia trucco sufficiente per coprirlo, perché non è intorno agli occhi, ma dentro. E la faccia un po’ ingrugnata fa trendy, ma ci ho l’impressione che non sia una faccia che ti metti su tipo per cuccare o farti notare, ma perché non te la riesci a togliere che c’ha le radici dentro, profonde. Perché quando guardo il mare, non è la voglia di veleggiare che mi viene, ma quella di annegare. E questo non è bello. E la sera. Tipo quando perdo quei minuti affacciata alla finestra a fumare per non impregnare la stanza, che a me fregherebbe anche, ma lei rogna perché detesta quest’odore le ricorda mia padre, non è il cielo che vedo, né i colori, ma una coperta tesa, come quelle che da CSI copre i morti delle autopsie. E non so perché, ma non mi piace. E non so guardare più in là di domani, che già faccio fatica e non so neppure perché dovrei farlo. Ma un po’ mi ferisce.
Unico!
RispondiEliminaNon vorrei tornare alla mia dolescenza neanche se mi pagassero!
Ho fatto una fatica ad uscirne... povera la mia Elly che ancora ci deve arrivare.
Grazie del racconto
grazie carissima, grazie di essere passata e aver lasciato traccia...
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