Ci
lamentiamo della nostra sorte e non comprendiamo le nostre fortune finché non
ci sfracelliamo contro il dolore altrui. Me ne accordo in questa domenica di
Pasqua in chiesa, che peraltro è luogo delle grandi scoperte sull’umanità, anzi
sulle persone, che queste sono vere, l’altra è un’astrazione, quella che ama
Lucy che invece, dice, fa fatica a sopportare le persone.
Ecco.
Lì scopri che dietro alle apparenze, a quel fastidio che produce la tua
permalosa presunzione, a quell’irritazione per comportamenti che non comprendi,
battono vite che si sono forgiate nel dolore. E che a volte da questo, invece
che essere illuminate, sono state devastate e illuse, avvelenate e rinchiuse in
soluzioni che sono inganni e dolore ancora più profondo e feroce e senza
speranza.
Ma
chi sei tu per giudicare o disprezzare?
Incontriamo
una signora che ha appena perso il figlio, compagno di scuola di Franca. E improvvisamente
mi tornano addosso, scagliandosi come affamati predatori, i dolori che leggi
sul web, che ti raccontano alla macchinetta del caffè, che catturi –anzi, sono
loro a farti prigioniero- sul tram, per strada. Un pianto sommesso.
Allora
ti accorgi che è così bello stare bene, è così dolce ringraziare perché anche
questa sera i figli sono rientrati tutti a casa sani e salvi, perché…
E
forse la lezione di questa Santa Pasqua è proprio questa: tutto è grazia e non
resta che accorgersene con solare evidenza.
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