Credo
nella potenza delle domande: abbiamo invece rinunciato alla loro forza sedotti
dalla mollezza delle affermazioni.
Viviamo
in un mondo imprigionato dal soggettivismo, da quella patologia della verità
che sposta il baricentro dal reale al percepito e lo incatena all’esperienza
soggettiva, che tutti riconoscono cattiva maestra tranne quando parla per noi e
sembra segnare il confine tra bene –tutto ciò che facciamo- e male –ciò che ci
dà fastidio degli altri.
L’uomo
detesta il male e per compierlo si illude che sia bene: per questo odia il
giusto, perché non fa sconti, innanzitutto a se stesso ma poi, per la proprietà
transitiva, neppure agli altri. Meglio dunque tendergli insidie.
Ma
di questo parleremo un’altra volta, perché adesso vorrei soffermarmi sulla trascinante
carica dell’arte di domandare. Che coinvolge invece di aggredire. Prendiamo un
esempio: per un errore –o scelta- partono 6 messaggi in un giorno da check in
di foursquare che twittano e facebookano dove sono. Ti dà fastidio –perché poi?
Ma va bene lo stesso- e ti senti in dovere di dirmelo: così mi scrivi. E mi
dici che non capisci per quale ragione dovresti essere interessato a sapere
dove sono ogni pochi minuti.
Che
reazione produci in me?
a) intanto non è ogni minuto,
ma sei volte in 24 ore: fatti due conti!
b) poi, se non ti va bene, non
ha che da abbandonarmi: non ti obbliga nessuno a seguirmi
c) chi ti ha eletto maestro
delle mie decisioni e delle mie scelte?
d) Sei l’unico a
stigmatizzarlo su circa 7000 contatti: l’unico coraggioso –sono tutti pavidi- o
l’unico rompicoglioni?
Ecco,
guarda un po’ cosa sarebbe successo se invece di fare affermazioni gravide di
irritazioni avessi chessò chiesto: ti sei accorto che sono apparse sei check in
in meno di 24 ore? È una tua –legittima- scelta o un errore di impostazione?
Molto
diverso come approccio: la domanda ammorbidisce, penetra, costringe a
riflettere, ingentilisce, stimola. È gentile e pungente. Non aggredisce.
Ma
è difficile.
Per due grandi ragioni.
Per due grandi ragioni.
La
prima è che richiede uno sforzo di pensiero, impone ascolto e riflessione per
essere formulata nel modo più sagace e rispettoso possibile.
La
seconda è che richiede umiltà, e volontà: sapersi mettere in secondo piano per
cercare insieme la verità, che non è detto sia la mia.
rimarco e sottolineo le due grandi ragioni.
RispondiEliminaPer il resto il "solito" acume riflessivo :)
Non di rado le tue considerazioni offrono ottimi spunti di riflessione, almeno per me
;-) ciao Rino!
RispondiEliminaCiao Paolo, un saluto estivo, buone vacanze se le farai e...non te la prendere :-)
RispondiElimina