Mia moglie sta caricando in ascensore tre borsoni della spesa. Sopraggiunge
vicino recante panettone, la guarda perplesso e afferma: "ho fretta".
Quindi prende l'ascensore e la lascia lì.
Questo è quello che a Milano definiamo "un pirla".
Ma proprio grande. E pure cafone.
O no?
Ora gli scalini da fare non erano più di 60 (li ho contati di persona).
Ma accertata la grossolanità del suddetto ominicchio, ciò che colpisce è la
diffusa incapacità di cogliere il senso di ciò che si fa.
Mi piace, esagerando lo so, elevare questa scenetta a icona di un certo
modo di fare: che mettiamo noi al centro, e quindi sempre davanti.
E poi è dura farsi da parte quando il gioco si fa duro.
Diceva un santo sacerdote che le battaglie dello spirito si vincono nelle
piccole cose, e anche quelle della convivenza non fanno differenza: che è
impossibile vincere alle Olimpiadi senza essersi allenati tutti i giorni, e se
si continua a fregare l’ascensore alle signore perché c’abbiamo fretta, si
finisce poi a cadere nelle scialuppe della nave che affonda, gettata la divisa
per non essere riconosciuti, spaventati dal buio (ma non dalle proprie
responsabilità).
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