Ci sono momenti un cui tutto sembra
andare male: sarà la nebbia che spegne ogni colore e cosa, senza negarle, ma
diluendole in modo tale da privarle di sostanza. Sarà il freddo che rallenta e
punge persino la volontà, sarà che una notizia non brillante piomba su questo
scenario grigio e gelido e risalta in modo speciale, ma ci sono giorni in cui
mi verrebbe davvero voglia di fare mio quel verso di una splendida canzone di
Vecchioni: “papà, lasciamo tutto e andiamo via”. Peccato che, tra l’altro, io
sia ormai orfano. E quanto questo mi pesa lo scopro ogni giorno.
Per fortuna però c’è la mia famiglia
che sa, con provvidenziale sapienza, rischiarare inconsapevolmente l’attimo che
fugge trasformandolo in attimo che resta e che conta. Se c’è un segno che
l’adolescenza stia finendo questo è sicuramente nel sorriso: un figlio che
sorride, con costanza e soprattutto con
serietà, intendendo con questo che non di ebete sturamento delle labbra
trattasi, ma di cosciente volontà di trasmettere serenità, un figlio che
sorride così è fuori dal tunnel. E noi con lui.
Ed è così rilassante cenare insieme
con volti sorridenti, capaci di raccontare gioie e pene della loro giornata,
senza quella veemenza tipica di chi cerca assoluzioni, di chi cerca consensi
forzati, ma con la pacatezza di chi sa riflettere sui propri comportamenti ed
imparare.
Così sopra la tavola estratti di
ginnastica artistica si mescolano con
esperienze di tirocinio, esercizi di zumba, la nuova frontiera del
fitness, con racconti di visite ai clienti e di seminari sui serial televisivi.
Qualche volta riesco a stare ai margini delle discussioni, frenando la mia
figliounicità –caratteristica che mi distingue da ogni altro membro della mia
famiglia e che mi viene giustamente rinfacciata ogni volta che il figlio unico
che è in me si palesa ad esempio mangiando l’ultimo boccone di una portata
senza chiedere nulla agli altri- ed ascoltare. E allora è un flusso di felicità
bianca che irrompe a sanare ogni illusione di tristezza. Perché lì c’è la
speranza di aver dato un contributo alla gioia solida della propria
famiglia. Non è un silenzio ed una
assenza implosa però, sebbene la vanità sia in agguato sempre: no, è più una
lieve letizia, la sensazione di avere dato risposta a ciò che ci si attendeva
da te, di non avere tradito. E non può durare a lungo, per non stordirti fino a
toglierti la ragione. Un lampo di gioia, pura, profonda. E poi si torna nella
quotidianità con la figlia che ti sorride, ti mette una mano sulla spalla, cosa
che vale molto di più di un abbraccio, e, da laureanda in psicologia, comincia
ad applicare a te i suoi studi e ti sciorina una serie di ragioni per cui te ne
stai appartato in silenzio ad osservare. Ma questa volta non fa centro.
Io credo che non ci sia niente che possa renderci più felici quanto vedere la felicità negli occhi dei nostri figli, così come può essere trovarsi a tavola con la propria famiglia sana e sorridente.
RispondiEliminaSei sicuramente un uomo molto fortunato!
grazie!
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