Quando i cinquant’anni sono stati raggiunti e superati con la velocità del suono di una sirena arrabbiata, tre sono le possibilità che rimangono all’uomo che non vuole rimanere ad attendere l’impatto indifeso e inconsapevole: farsi l’amante, farsi una macchina rossa, scrivere un blog. Dato che mi state leggendo (davvero? Mi state davvero leggendo?) avete compreso che ho scartato le prime due ipotesi. E per scelta volontaria e creduta, non certo forzata.

Ma che cosa e perché scrivere? Condividere, o l’illusione di farlo, aiuta spesso a sentirsi in compagnia di fronte alla piccole battaglie della vita: quelle grandi, si sa, le si può affrontare solo in compagnia di se stessi, senza nessuno scudiero o cavaliere al proprio fianco.

La prima delle sfide e quella che affettuosamente potremmo definire di san Giuseppe, che di fatto nomino mio speciale e personale protettore confidando sulla sua ironia e bonomia. In che cosa consiste questa sindrome? Nel sentirsi ovviamente il più imperfetto della famiglia dovendone invece apparire la guida salda. Non che con questo voglia affidarmi a una melliflua umiltà fasulla, l’autocompiacimento di sentirsi negare la denigrazione e gustare così una vanitosa ricompensa per la propria maliziosa modestia. Affatto. Lauto compiacimento può derivare solo dalla concretezza. Non che non sia vanitoso, tutt’altro: la vanità è sempre in agguato, come ben sa il diavolo impersonato da Al Pacino nel mondo degli avvocati.
Gli è che essendo proprio vanitoso e anche intelligente, so bene che l’ambizioso deve attingere a piene mani all’umiltà: per crescere, ambizione che può essere anche nobile e saggia, bisogna capire dove migliorare. E per capirlo non c’è che l’umiltà.
L’ambizioso vanesio e superbo farà una brutta e rapida fine.

Quindi qui sto: con una moglie tendente alla perfezione, pur con difetti marginali che provocano in me tanto irritazioni quanto ammirazione per la loro trascurabile banalità; con tre figli che, come recitano brutti film, hanno preso maggiormente da me i difetti, e quindi non posso accusarli di una eredità che ho trasmesso loro; con un lavoro che amo e che ogni mese mi sfida sempre di più, aiutandomi a non fare mai mia la sicurezza.
Di che scrivere dunque?

Della precarietà, della inadeguatezza che mi rende comico a me stesso, specchio delle cose che ho appreso e che rivedo, con squarciante veridicità, nel mio quotidiano.

mercoledì 28 marzo 2012

Un amore lungo millemiglia







L’amore si misura anche in chilometri. Quelli fatti insieme. Noi: tanti.
Dapprima in Italia, poi l’arrivo di Andrea, esattamente 345 giorni dopo il matrimonio ci ha un po’ rallentato, ma neanche tanto.
Toscana, Emilia, Alto Adige, Puglia, Basilicata: percorse tutte lungo autostrade che finivamo per conoscere metro per metro, area di servizio per area di servizio.
Poi, cresciuti i figli, l’estero e i grandi viaggi. Soprattutto gli States. In auto da Boston al confine con il Canada al nord, a Burligton. Poi invece giù, dopo una sosta a Cape Codd, fino alla Grande Mela. E una pennellata nei dintorni di Frisco. Per tornare su questa costa con Miami fino a Key West, e di nuovo da Washington a New York.
Senza dimenticare il sud della Francia, la Spagna, e ancora l’Italia.
C’è quando ci si ama è bello viaggiare insieme: perché stare chiusi nel medesimo abitacolo per ore da un lato presume l’amore, dall’altro lo rafforza. E genera quelle abitudini che scendono nel cuore perché diventano gesti d’affetto.
Va bene, i figli maliziosi dicono che io ho problemi acustici all’orecchio destro e Franca al sinistro proprio perché così in auto non ci ascoltiamo! Non è vero. Ho anche proposto di acquistare un’auto britannica con guida a destra per risolvere il problema, che di mollare il volante non se ne parla…

Così insieme si sta anche in silenzio, poi si prega (quanti rosari!), poi si litiga un pochino (ad esempio sulla temperatura e l’uso del condizionamento/riscaldamento o sulla radio), ma per gioco, e poi si ragiona e poi si canta e poi si dorme (non tutti e due insieme) e si guarda il panorama, e si parla di nuovo e si mangia, si beve, si discute, si impreca (eh no, le cartine proprio non sapete leggerle signore mie), si brontola, e si ride. Soprattutto si ride. Insieme. Di noi. Un grande dono di mia moglie è l’avere una infinita ironia che gioca spesso su di sé, di noi, di me.
In auto insieme. Anche ora. Nel giro in senso orario della Florida del Sud: Miami, Everglades, Naples, Venice, Tampa, Palm Beach, e di nuovo Miami. Dormendo nei motel, che son così spudoratamente cinematografici, da intenerire il cuore. Come quando si viaggia al tramonto, con quella luce che accende il desio ai naviganti (non ai navigatori si intende) e regala colori che non si vedono altrove al mondo, ma solo lì, mentre guidi, e sei con lei, perché è lei che li tesse quei colori, mica il cielo, o la terra o il mare. Proprio lei. Ancora un giorno lì con te e per te. Come tu sei per lei.

8 commenti:

  1. oh ma che tenero&luminoso questo post :)

    Grazie!
    Cristina

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  2. Credo che il segreto di una grande unione stia proprio lì: quel condividere il gusto per l'avventura e quel saper ridere insieme,amandosi l'un l'altro come se fosse sempre il primo giorno.

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  3. Grazie Caterina, hai messo il dito sul punto giusto... ;-)

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  4. mi sono commossa nel leggere questo post! il nostro viaggio è appena iniziato ma spero un giorno di poter commentare con lo stesso spirito la nostra bellissima avventura! bel post!

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