L’italiano è fisicamente
impossibilitato a fare le code. È contrario alla sua natura. C’è una ragione
ontologica nascosta per cui la coda lo sfida. Sfida chiunque abbia sangue
italiano nelle vene, anche se in un modo diverso: l’uno vede nella coda l’icona
della giustizia dell’affermazione morale delle regole, dell’ordine; l’altro lo
identifica come un oscuro,
reazionario e irragionevole
limite ai suoi privilegi. Privilegi? Si: l’essere più degno, più furbo o solo
più feroce degli altri. Deve arrivare primo, deve passare avanti. Farsi notare.
Urlare il proprio io. Affermarsi. Ecco, la coda è ciò che è rimasto all’italiano per gridare che
esiste, che è diverso dalle
masse. Cerco di essere paziente
eppure poche cose mi irritano fino all’incontenibilità quanto le violenze
perpetrate nelle code. E qualche volta scatto. Ma l’italiano, il romano in
particolare, sa sempre volgere mancanza di rispetto a suo vantaggio, facendoti
sentire in colpa. Così quando rimbrottai un elegante e distinto professionista
che, senza neanche averne il titolo, mi erasgusciato davanti nella fila per
l’imbarco riservato agli “appartenenti al club Freccia Alata” mi beccai questo
sarcastico replica “ Se ha tutta questa fretta..”
Fantastico esempio di manipolazione
intellettuale tipica del nostro popolo: mai cedere alla tentazione di ammettere
l’errore e scusarsi. Piuttosto attaccare che chiede il rispetto delle regole
dipingendo entrambi come un aggressore alla libertà, come un’imposizione
fascista che solo un invasato egoista può voler pretendere di far rispettare.
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