Ci deve essere qualche cosa di strano, quasi prossimo al
vizioso, nel rapporto tra una donna e la lavatrice, qualche cosa che dal nostro
punto di vista può apparire morboso.
Che basta un raggio di sole in montagna per scatenare queste
voglie, mentre in città è sufficiente il senso del dovere.
Dovere poi… certo senza una macchinata, come dite voi, la
vita sarebbe molto peggiore. Ma est modus in rebus.
E ci dovete spiegare perché avete questo amore, perché così
potremmo trovare nuove strade per conquistare la vostra ammirazione.
A me piace giocare con l’acqua, forse dipende dai miei
trascorsi di laboratorio, da studente, quando praticamente 3 pomeriggi su 5 li
spendevo a lavare beute e alambicchi mentre taravo crogiuoli, ricercavo
elementi, ne facevo reagire tra loro altri.
C’è come un richiamo all’infanzia nel mettere le mani
nell’acqua calda, e lavare i piatti con il detersivo liquido, sfruttando le
conoscenze apprese in anni da sguattero di laboratorio chimico universitario
per rendere tutto brillante come uno specchio.
E ciò nonostante, nonostante cioè la mia esperienza
comprovata, è ancora lì a suggerire la temperatura dell’acqua, le tempistiche,
le procedure…
Che ci ho provato a far andare una lavatrice, ma pare ci
voglia una laurea in ingegneria tecnologica: tra temperature, programmi,
colore, nero, bianco, centrifughe, lettere, numeri e filtri, non riesco proprio
a raccapezzarmici. Ma deve essere una questione maschile, perché invece le due
figlie hanno imparato subito, anche se devo ammettere pure Andrea la sua usare
alla perfezione.
Mah, le nuove generazioni!
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